Omelia Badia Fiorentina 8 aprile 2021

Giovedi fra l’Ottava di Pasqua: At 3,11-26  –  Sal 8  – Lc 24,35-48

Guarito all’ingresso del Tempio, l’ormai ex paralitico «tratteneva Pietro e Giovanni», mentre «tutto il popolo, fuori di sé per lo stupore, accorse verso di loro al portico detto di Salomone» (At 3,11).

E subito Pietro chiarisce come non si deve interpretare quanto è avvenuto. Non si deve in alcun modo pensare che la guarigione miracolosa dello storpio sia avvenuta perché Pietro e Giovanni hanno un particolare «potere» o per la loro «religiosità» (cfr At 3,11-12), ossia per la loro pietas, per il loro atteggiamento spirituale di profondo legame con il mistero divino.

La sorgente della guarigione è la fede nel Risorto di Pietro e Giovanni: «per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo» (At 3,11,16).

Come per entrare nel regno dei cieli non basta dire «Signore, Signore» (cfr Mt 7,21), per fare grandi cose non basta pronunciare «il nome di Gesù» come fosse una formula magica: è necessario riporre in lui completa e piena fiducia.

La grande ricchezza che, in quanto cristiani, possiamo offrire alle donne e agli uomini di ogni tempo è la nostra fede in Gesù Cristo: riporre in lui la nostra fiducia porta pace, guarigione, salvezza.

La grande ricchezza è la fede che nasce da un’esperienza che coinvolge totalmente, non il credere intellettuale che viene dalla semplice conoscenza e neppure il credere emotivo che viene dall’aver vissuto alcuni momenti belli, eclatanti.

La fede nel Risorto esplode in tutta la sua rilevanza quando coinvolge l’intera persona e apre al futuro. Il Risorto, infatti, rendendosi presente in mezzo ai discepoli, fa emergere i sentimenti contraddittori che abitano l’aniumo umano e indica il compito di chi lo ha incontrato: «di questo voi siete testimoni» (Lc 24, 48).

Quando i discepoli di Emmaus rientrano a Gerusalemme, trovano i loro compagni che si dicevano l’un l’altro: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!» E loro stessi cominciano a raccontare «ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24, 35).

Vedendo le reazioni di tutti i discepoli nel brano che abbiamo appena ascoltato, mi pare si possa dedurre che anche l’apparizione a Simone, similmente a quella dei due di Emmaus, non sia stata un’esperienza di coinvolgimento pieno e totale con Cristo risorto.

È vero che ai due discepoli diretti a Emmaus ardeva il cuore mentre il Risorto conversava con loro lungo il cammino, ma è anche vero che quando i loro occhi lo riconoscono nello spezzare il pane, Gesù sparisce «dalla loro vista» (Lc 24,31).

Le apparizioni fanno maturare nei discepoli l’idea che Gesù è vivo, ma non possono ancora essere definite una vera e propria esperienza del Risorto, come appare evidente dal brano che abbiamo appena ascoltato.

Parolano contenti delle apparizioni di Gesù risorto, ma quando si presenta concretamente le cose cambiano: «Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma» (Lc 24,37).

L’idea che Gesù è risorto, nata dall’averlo intravisto, non è ancora esperienza del Risorto, non è ancora vera fede il lui.

La risurrezione oltrepassa tutti i limiti dell’esperienza terrena, ma è dall’esperienza umana che bisogna partire: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate» (Lc 24,39).

Se le apparizioni sembrano aver nutrito l’idea che il Signore è vivo, scaldando il cuore dei discepoli, la sua reale presenza fra loro, invece, sembra costituire un ostacolo: «per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore» (Lc 24,41).

Parafrasando il linguaggio in voga con la pandemia, potremmo dire che preferiamo che Gesù utilizzi gli incontri a distanza, dove si privilegia il sapere (Dio è Padre e ci ama; come cristiani dobbiamo fare questo e quello ed evitare quell’altro), anziché gli incontri in presenza, che ci coinvolgono interamente e ci mettono in gioco come persone.

«Gesù in persona stette in mezzo a loro» (Lc 24,36). L’inconbtro personale col Risorto obbliga a mettere insieme la sconfitta della croce con la vittoria della risurrezione, i nostri conflitti con la pace donata, la concreta condizione presente con la speranza escatologica.

La gioia, quella che dona pienezza, fa paura, perché sembra irreale, non conciliabile con la concretezza dei nostri limiti e della nostra sofferenza. E allora ci accontentiamo di un po’ di allegria, di semplice contentezza, di addolcire la realtà per evitare confronti difficili o per non scontentare nessuno.

Chiediamo al Signore di aprire anche la nostra mente «per comprendere le Scritture» (Lc 24,45), per accogliere la pace che il Risorto ci dona, per essere testimoni della gioia che nasce dall’incontro con lui.

 

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