Martedì nona settimana Tempo Ordinario 1 – San Giustino, martire: Tb 2,9-14 Sal 111 Mc 12,13-17
Erodiani e farisei sanno bene che in ciascuno di noi c’è almeno un granello di vanità e che a tutti piace che si dicano cose buone di noi.
Ed è proprio usando l’adulazione che cercano di mettere alla prova Gesù, «per coglierlo in fallo nel discorso» (Mc 12,13), ponendogli la pericolosa alternativa tra un atteggiamento legalista verso il potere politico e un atteggiamento di insubordinazione nazionalista, con connotazione religiosa.
Il linguaggio dell’adulazione, con l’intenzione di mettere alla prova una persona e farla cadere in fallo, è linguaggio dell’inganno, per indebolire le difese e indurre in errore. E può anche assumere la veste di una più o meno velata minaccia. È il linguaggio utilizzato dal diavolo, anche con Gesù nel deserto (cfr Mt 4,1-11). Ed è il linguaggio usato dagli stessi erodiani e farisei nei confronti di Pilato per convincerlo a condannare Gesù (cfr Gv 20,12)
Nella versione di Marco, la richiesta che viene fatta a Gesù non è solo chiara, «è lecito o no dare il tributo a Cesare?», ma anche molto concreta: «lo dobbiamo dare o no?» (Mc 12,14).
Gesù conosce la loro ipocrisia e lo dice chiaramente, «perché volete mettermi alla prova?» (Mc 12,15), prima di introdurre l’elemento decisivo di confronto e di giudizio, attraverso l’immagine di Cesare sulla moneta: la presenza e la centralità di Dio nella vita del credente.
L’uomo è immagine di Dio, la moneta riporta l’immagine di Cesare. Per capire se è lecito dare qualcosa a Cesare, bisogna porre a fondamento della questione il mistero di Dio – la sua opera in noi, per noi e con noi – e il nostro essere creati a sua immagine e somiglianza.
Se è vero, come dicono farisei ed erodiani, che Gesù non ha «soggezione di alcuno», è però falso che non guarda «in faccia a nessuno» (cfr Mc 12,14). Anzi, proprio per insegnare «la via di Dio secondo verità» (cfr Mc 12,14), Gesù guarda in faccia tutti, o, meglio, a ciascuno.
Ed è proprio questo suo guardare ogni volto che esprime rispetto per la persona – la sua storia, la sua fatica, la sua gioia, il suo peccato – e che lo rende libero e capace di parlare a tutti di tutto.
Il volto è la porta dell’umano, tanto che, come scrive Christian Bobin (L’uomo che cammina, Qiqajon, 1998), «nei campi di concentramento i nazisti proibivano ai deportati di guardarli negli occhi, sotto pena di morte immediata. Colui di cui non accolgo più il volto – e per accoglierlo bisogna che io lavi il mio volto da qualsiasi residuo di potenza – quello io lo svuoto della sua umanità e me ne svuoto io stesso».
Avendo come chiave interpretativa il rispetto per la persona e per il suo cammino, mi pare che possiamo meglio comprendere quello che Gesù intende dire, affermando che va dato a Cesare quello che è nel suo ambito, ossia con le cose del mondo, ma che primariamente va dato a Dio quel che gli è proprio, ossia la persona.
Gesù parla secondo verità perché il vero che annuncia è sempre unito all’amore. Non c’è verità senza amore. L’amore è la prima verità. E se non c’è al volto concreto della persona non c’è amore e non c’è verità.
Dovremmo tutti ricordarlo. Sempre. Anche quando, ad esempio, la nostra idea di famiglia, di parrocchia, di comunità religiosa non tiene conto del volto di coloro che ne fanno parte, ossia sulla concretezza delle persone che, con noi, compongono quella famiglia, quella parrocchia, quella comunità religiosa.
La vera etica cristiana, perciò, è lontana da ogni etica naturale-razionale e da ogni astrattezza, giacché si fonda sulla verità di Dio-amore e sull’incontro con lui.
Questo lo ha capito bene San Giustino che, nella sua ricerca per arrivare a conoscere Dio, prima approfondisce il pensiero filosofico e poi, non soddisfacendo della filosofia, guarda ai profeti di Israele, attraverso i quali arriva a Cristo, ricevendo il battesimo verso l’anno 130, a Efeso.
Giustino, divenuto cristiano, non rompe con il suo passato di studioso, ma continua a frequentare gli ambienti degli studiosi pagani annunciando loro il vangelo di Cristo. Parafrasando il brano del vangelo di oggi, potremmo dire che per Giustino, rendere a Dio quello che è di Dio, ossia la sua stessa vita, non estranea dal mondo, dal rendere a Cesare quello che è di Cesare. Anzi, vive il suo essere nel mondo portando la luce tanto cercata e che ha trovato in Cristo.
La nostra società ha bisogno di persone che, come Giustino, vivono la loro santità nelle responsabilità quotidiane della vita e della storia, inseriti attivamente nei vari ambiti della società.
Giustino è stato sale e luce per gli uomini del suo tempo, esemplare per la serietà della sua indagine intellettuale, come per la fedeltà alla sua fede.
Va però detto che Giustino non ha conosciuto Cristo attraverso la sapienza e la saggezza umana, anche se lo hanno aiutato, ma – come abbiamo pregato nella colletta – questa conoscenza gli è stata donata «attraverso la stoltezza della croce», che ha fedelmente testimoniato fino al martirio.
Riprendendo la fine della colletta, preghiamo il Signore che, per intercessione di San Giustino, possiamo sempre «respingere gli inganni dell’errore per conseguire fermezza nella fede».