Schema Omelia domenica 23 gennaio 2022

III Domenica Tempo Ordinario Anno C – Domenica della Parola di Dio: Ne 8,2-4.5-6.8-10   Sal 18   1Cor 12,12-30   Lc 1,1-4; 4,14-21

Scriveva Martin Luther King che le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano.

Oggi, anche quando siamo di fronte a cose che contano, le nostre vite rischiano di perdersi, perché le parole si moltiplicano per cose che non contano o che addirittura inquinano.

Questo nostro tempo è caratterizzato dall’immediatezza, dalle parole superficiale e presto dimenticate; da promesse e impegni che rimangono solo proclami, nella vita pubblica come nelle relazioni private.

Questo, però, è anche il tempo della parola urlata, usata per colpire in modo volgare e violento; una parola che spesso lascia segni indelebili nella vita delle persone e della società.

Sembra di trovarsi immersi in un vociare continuo e risentito, che ha perso il senso dell’argomentazione e il contatto con la concretezza della realtà delle cose e con la concretezza della vita delle persone.

Una delle radici della crisi del nostro tempo potrebbe essere individuata proprio nella perdita del senso delle parole, nel modo con cui le utilizziamo e nel fatto che le parole sembrano aver occupato tutti gli spazi, compreso quello che dovrebbe essere lo spazio del pensiero.

Per guardare e andare oltre la crisi, pertanto, è indispensabile e urgente ritrovare la ricchezza, il senso e la forza della parola.

La Bibbia è un inno alla parola. Dio crea per mezzo della parola. La potenza della parola viene espressa anche nella capacità donataci da Dio di dare nome alle cose.

Dio si è raccontato con parole umane. A Israele ha consegnato parole di vita, le parole della legge, che tracciano la strada da percorrere per giungere alla pienezza.

È la potenza della parola che motiva il pianto di gioia del popolo – come narra la prima lettura – quando ascolta le parole che Dio ha donato.

Il popolo sta tornando dall’esilio, è affaticato, scoraggiato, deluso, ma ascoltare quella parola di misericordia gli permette di ritrovare forza e identità.

La parola di Dio, infatti, si compie ogni volta che viene proclamata e ascoltata.

Le nostre assemblee liturgiche, ogni volta, sono il luogo in cui la Parola di Dio continua a incarnarsi, luogo nel quale l’ascolto attento della Parola trasforma la vita e rende solidali: «mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato» (Ne 8,10).

Confrontarsi con la Parola ci mette di fronte al mistero dell’incarnazione: della Parola che si è fatta carne.

Contemplare questa Parola e ascoltare le parole che Dio ci rivolge, ci rigenera e ci mette davanti al modo con cui usiamo le nostre parole; al modo in cui ci impegniamo nelle promesse; è verifica sulla verità del coinvolgimento delle parole da noi pronunciate.

La parola ha sempre anche una dimensione operativa, riguarda il “fare”: è una promessa, un ordine, un desiderio… La parola è creativa.

Il discorso che Gesù pronuncia nella sinagoga di Nazareth è una sorta di discorso programmatico, con il quale annuncia l’azione di Dio e attraverso il quale si fa lui stesso azione. In Gesù l’antica profezia si fa storia.

Il modo di narrare di Luca, quasi al rallentatore, contribuisce a creare aspettativa per le parole che dirà Gesù: «Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20).

Gesù si inserisce nel solco dei profeti e i profeti illuminano la sua vocazione, ispirano le sue scelte: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato…» (cfr Lc 4,18-19).

Gesù non è venuto per portare le persone a Dio, ma per portare Dio alle persone, affinché ciascuno possa sprigionare le immense potenzialità di vita, di lavoro, di creatività, di relazione, di intelligenza, di amore che Dio ha messo dentro di lui.

«Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). La nostra vita è fatta di tanti oggi che si susseguono e che, ciascuno a suo modo, chiedono accoglienza e impegno.

È nel nostro oggi che la parola si compie. E ogni nostro oggi esige che da noi venga accolto quanto ci precede e ci è donato. Ma esige anche il nostro impegno, perché quanto ricevuto possa essere accettato, interiorizzato, confrontato con accuratezza e attenzione, per diventare realmente “nostro” e dare solidità alla nostra fede ed essere di appoggio alla fede degli altri (cfr Lc 1,1-4), riscoprendo che siamo tutti membra di un solo corpo, come ci ha detto Paolo nella seconda lettura (Cor 12,12-30).

Il testo che Papa Francesco ha scelto per questa Domenica della Parola, è fortemente espressivo per ciascuno di noi e per la vita della comunità cristiana: Beato chi ascolta la Parola di Dio! (cfr Lc 11,28).

Beato perché, ascoltandola e osservandola, la parola si compie nell’oggi della vita. Come avvenuto per Zaccheo, quando la salvezza entra nella sua casa nell’oggi in cui ha ascoltato la parola che Gesù gli rivolge (cfr Lc 19,5). E come avvenuto nell’oggi del buon ladrone, che credendo alla parola entra in Paradiso (cfr Lc 23,43).

Ripartire dalla Parola che si è fatta carne, cambia il nostro rapporto con Dio, trasforma radicalmente la nostra vita e il nostro rapporto con la vita. E può cambiare anche il modo e il senso con cui usiamo le nostre parole.

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