Schema Omelia domenica 20 marzo 2022

Terza di Quaresima Anno C: Es 3,1-8.13-15   Sal 102   1Cor 10,1-6.10-1

Il brano del vangelo che abbiamo ascoltato, presenta riflessioni e preoccupazioni che ci accompagnano anche in questo nostro tempo, colpito dalla pandemia e segnato drammaticamente della guerra.

La minaccia di catastrofi, non sempre prevedibili, e un cattivo uso del potere umano, possono causare sofferenza e morte a milioni di persone.

Questo ci spaventa e ci porta giustamente alla ricerca delle cause. Indagare sulle cause, tuttavia, per alcuni è solo un modo per esorcizzare la paura e per altri, come spesso traspare dai toni e dalle argomentazioni usate, è un modo per scagionare sé stessi da ogni ipotesi di responsabilità più o meno diretta.

L’individuazione delle cause è sempre essenziale e doverosa. Ma di fronte a una persona che rischia di morire per un virus, il primo atto è cercare di salvarla con gli strumenti che si hanno a disposizione in quello specifico momento. E di fronte a una persona che muore sotto le bombe, non si può stare a disquisire se avrebbe potuto o dovuto comportarsi diversamente per evitare che l’aggressore intraprendesse un’azione di guerra.

Tutti e in tutto abbiamo una qualche responsabilità. Anche se non diretta, ma semplicemente riconducibile ai nostri stili di vita, al nostro resistere ai necessari processi di cambiamento, alla nostra indifferenza.

Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti, è chiaro: «Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite» (77).

Come narra il brano del vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù coglie l’occasione di alcuni gravi fatti di cronaca, per sfuggire dal tentativo, allora presente, di accusare i “colpiti” e assolvere sé stessi.

Alcuni lo informano che Pilato ha fatto scorrere il sangue di alcuni galilei insieme a quello dei sacrifici che stavano offrendo. Gesù non commenta l’accaduto, ma accende una luce sull’interpretazione che ne danno i suoi interlocutori: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?» (Lc 13, 2).

Per rafforzare il suo discorso, teso a superare l’idea secondo cui viene colpito chi è più peccatore, pone la stessa domanda in relazione al crollo della torre di Siloe, che uccise diciotto persone a Gerusalemme: «credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?» (Lc 13, 4).

Chi subisce un’ingiustizia o chi viene colpito da una sciagura non è segno che è più colpevoli degli altri.

Il male, però, è sempre male e fa male sempre. Ogni scelta ha delle conseguenze. Se si va fuori strada non si arriva alla meta e un cammino sbagliato richiede un deciso cambiamento di rotta: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13, 5).

«Se non vi convertite». Questo “se” ci dice che in ogni situazione è racchiusa una nuova possibilità e che è sempre aperta la porta del cambiamento e della speranza.

C’è sempre un “se” che abita la storia e apre uno squarcio dentro ogni situazione di male. C’è la possibilità di essere diversi; di prendere un’altra strada, di assumere un altro modo di fare, guardando realisticamente a noi stessi e al contesto intorno a noi, facendo nostre le sagge parole di Paolo: «chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1Cor 10,12).

«Lascialo ancora quest’anno… vedremo se porterà frutti per l’avvenire» (Lc 13, 8.9), dice il padrone al contadino riferendosi al fico che non aveva prodotto frutti. Questa è buona notizia anche per ciascuna e ciascuno di noi.

Gesù non si rassegna al male, alla sterilità. Non si accontenta neppure di un’attesa inoperosa. Intercede, mette mano agli attrezzi adatti, soprattutto dà fiducia a quei rami che finora non hanno prodotto nulla, scommettendo sul loro avvenire possibile, come fa il contadino della parabola (cfr Lc 13,7-9).

Il roveto ardente che non si consuma (cfr Es 3,2), di cui parla la prima lettura, esprime molto bene la “fiamma di Dio” che arde interiormente e non dà tregua. E ci dice che Dio non è solo “colui che è”, ma colui che c’è. Che c’è sempre.

Come Dio ha udito il grido degli israeliti oppressi ed è sceso a liberarli, così ascolterà il nostro grido ogni volta che patiremo ingiustizie e il grido di chi patisce ingiustizia anche per causa nostra.

Chiediamo al Signore di sentire su di noi il suo sguardo misericordioso e provvidente. Chiediamogli di non smettere mai di credere che il nostro presente e il nostro avvenire possono essere migliori e che, con il suo aiuto, possiamo sempre dare quei frutti che fino ad oggi sono mancati.

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