XXIX Tempo Ordinario Anno C: Es 17,8-13 Sal 120 2Tm 3,14-4,2 Lc 18,1-8
Quali sono i valori a cui riferirsi e che danno un orizzonte di senso alla nostra vita? Quali sono i comportamenti che dovremmo cambiare? Cos’è che dovremmo davvero trasmettere alle future generazioni?
Le risposte a questi interrogativi possono essere molte, mutevoli e profondamente divergenti. Spesso sono frutto più dello spirito del tempo che di solide motivazioni. Soprattutto in questa fase storica, dove sembra prevalere la scarsezza di argomentazioni, l’emotività e l’inciviltà comportamentale e comunicativa.
Come appare in quasi tutti i talk show e sui social, gli interventi di politici, giornalisti, gruppi organizzati e singoli cittadini, generalmente sono caratterizzati dalla delegittimazione di chi la pensa diversamente; da facili slogan; da modalità comunicative e atteggiamenti aggressivi e discriminatori, spesso usati come risorsa per acquisire visibilità e consenso.
La diffusa superficialità con cui si guardano le questioni, l’ostentata mancanza di ascolto e di dialogo e il diffondersi dell’inciviltà, usata anche come risorsa identitaria, penso debba porre a tutti seri interrogativi su come porsi nelle dinamiche sociali e politiche.
Interrogativi che, mi pare, diventano vere provocazioni esistenziali per chi partecipa alla mensa della parola e del pane di vita ed è chiamato ad assumere come modalità costitutiva la sinodalità, il camminare insieme.
Per vivere attivamente nel mondo, senza conformarsi alla mentalità del mondo (cfr Rm 12,2), e senza lasciarsi prendere dallo scoraggiamento, pensando che sia impossibile incidere, la liturgia di oggi ci dice che basta credere, pregare e avere le Sacre Scritture come punto di riferimento.
Nei momenti particolarmente difficili la preghiera può anche essere faticosa, soprattutto se pensiamo di fare tutto da soli. Lo stesso Mosè ha avuto bisogno di essere sostenuto dalla comunità (cfr Es 17,8-13).
Per coltivare una positiva e costante relazione con Dio, senza stancarsi, ciascuno di noi ha bisogno di rimanere saldo nella fede, di lasciarsi istruire dalla Sacra Scrittura e di vivere una concreta comunione ecclesiale.
Come scrive Paolo a Timoteo, le Sacre Scritture possono istruire «per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Tm 3,15-17).
La parola di Dio e la preghiera costante ci rendono capaci di collocarci positivamente in contesti oggettivamente difficili, se non addirittura ostili, e di affrontare situazioni complesse con un vigore e una creatività sempre nuovi.
La vedova, di cui parla Gesù nella parabola, davanti all’indifferenza di un giudice che non guarda alla giustizia, potrebbe abbattersi pensando che con quest’uomo tutto sia inutile. Invece, contro ogni apparenza e previsione, la sua insistenza porta il giudice a farle giustizia, proprio perché, guardando a sé stesso, non vuol venire continuamente importunato.
Nel linguaggio biblico la giustizia è l’ordine pensato e voluto da Dio. Chiedere giustizia, come fa la vedova, non esprime un semplice desiderio soggettivo, ma la richiesta che le cose siano rimesse nel modo in cui Dio le ha pensate.
L’atteggiamento della vedova e la stessa domanda finale di Gesù, «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8), orientano alla vera natura della fede, che non è semplicemente fiducia né pura adesione intellettuale alle verità rivelate da Gesù.
La fede è un movimento totale, con il quale la persona si consegna a Dio, affermando, anche contro ogni evidenza, che lui è fedele e mantiene le sue promesse.
Gesù invita a pregare sempre non per piegare Dio alla nostra volontà, ma per entrare nel mistero di comunione con lui, che ci fa valutare la realtà, gli avvenimenti, le persone e noi stessi, con i suoi criteri di giudizio.
Come la fede, anche la preghiera esige un coinvolgimento pieno, una passione profonda, una compromissione totale, che non permettono di identificare la preghiera con la monotona ripetizione di formule.
Pregare è amare. Quando si ama qualcuno, lo amiamo giorno e notte, senza sosta. Il suo nome, il suo volto e anche la sua voce, risuonano in noi nel corso della giornata, indipendentemente da quello che stiamo facendo.
Così è il rapporto con Dio. Al di là di quello che stiamo facendo, si pensa a lui, lo invochiamo, a lui tendiamo: «Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre» (sant’Agostino).
La fede, la preghiera e l’ascolto della parola di Dio, rendono liberi e consentono di operare, con la maturità e l’incisività necessarie, per ridare valore alla verità dell’incontro, del dialogo e della collaborazione e per mettere un argine alla deriva dell’inciviltà e al pervasivo e perverso processo di omologazione, che mina alla radice l’originalità di ciascuno come è voluta da Dio.