Schema Omelia domenica 6 novembre 2022

XXXII Tempo Ordinario Anno C: 2Mac 7,1-2.9-14   Sal 16   2Ts 2,16-3,5   Lc 20,27-3

Le letture di oggi interrogano non solo la qualità, ma anche il contenuto della nostra fede, così come è stata interrogata dalla solennità di tutti i santi e dalla commemorazione dei fedeli defunti.

Dove ci porterà la morte? Davvero risorgeremo? Ma che cosa significa “risorgere”?

La fede nella risurrezione come viene proclamata nel Credo, pur essendo l’essenza del cristianesimo, non sembra essere patrimonio comune neppure dei cattolici praticanti, come mettono in luce molte analisi fatte negli anni, compresa una recente ricerca del 2020 (Garelli, Gente di poca fede, Il Mulino).

Pensare di essere cattolico e non credere nella risurrezione, nella vita oltre la morte, è una contraddizione grave sul piano esistenziale, non solo su quello della fede.

Del resto, già l’apostolo Paolo esprimeva la sua preoccupazione in questo senso, affermando che se ci rivolgiamo a Dio e speriamo in Cristo solo per questa vita terrena «siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Cor 15,19).

Non basta, tuttavia, credere nella risurrezione. La questione che si pone, come mettono in evidenza le letture di questa domenica, è anche come crediamo che essa sia.

La prima lettura, tratta dal secondo libro dei Maccabei, mostra come la speranza nella risurrezione sia in grado di sostenere la fedeltà al Signore anche nel tempo drammatico della persecuzione. Ma la risurrezione è da loro pensata con la materialità di questa vita terrena.

Gli stessi sadducei, che non credono nella risurrezione, per mettere alla prova Gesù utilizzano immagini che descrivono la risurrezione con la materialità di questa vita terrena e, in qualche modo, danno voce a tanti dubbi e fraintendimenti, speranze e disperazioni in cui ciascuno può cadere.

I Sadducei, chiusi nel loro benessere di ricchi proprietari terrieri, pensano che la relazione con Dio abbia i connotati del provvisorio e dell’effimero. La loro mentalità appare molto simile a quella nella quale oggi siamo immersi, che ci appiattisce su un presente incapace di alzare lo sguardo sul futuro e che ci rende infecondi.

Assorbiti da quel poco o tanto di cui disponiamo, o dalle preoccupazioni per un domani che si presenta problematico, sterilizziamo la dimensione del dono e della fecondità e cerchiamo di cancellare ogni traccia della morte dalla nostra vita, per dimenticare che tutto passa.

Rischiamo di essere come i Sadducei, che si rivolgono a Gesù con la storia di una donna sette volte vedova e mai madre, deridendo la fede nella risurrezione e manifestando l’unica loro fede: il valore dei beni e della discendenza capace di ereditare.

Forse noi siamo ancora più sterili dei sadducei: dato il drastico calo delle nascite, sembra sia rimasta solo la fede nei beni.

Alla domanda banale dei sadducei, che presenta la risurrezione in continuità con questo mondo, «di chi sarà moglie?» (Lc 20,33), Gesù contrappone un mondo nuovo: quelli che risorgono non prendono né moglie né marito; sono uguali agli angeli.

Essere uguali agli angeli, non significa essere creature evanescenti, incorporee, come suggerisce la nostra immaginazione, ma vedere Dio faccia a faccia (cfr Mt 18,10), vivendo la gioia immortale dell’amore.

I risorti, «non prendono né moglie né marito» (Lc 20,35), perché passa la scena di questo mondo, ma la morte non ha l’ultima parola: essere figli di Dio significa essere «figli della risurrezione» (Lc 20,36).

Non passa neppure la verità di quello che siamo. Il corpo ha una dimensione essenziale per la persona umana. Nessuno può essere pensato o pensarsi senza il corpo. Pensare l’anima separata dal corpo non è pensare la risurrezione: l’anima senza il corpo non è persona.

«Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Lc 20, 38). Si vive in lui con la nostra identità e personalità.

Credere nella risurrezione significa affermare che nulla di quello che siamo diventati, con le nostre relazioni con gli altri e con il mondo e la nostra operosità, verrà inghiottito dalla morte, ma che tutta la nostra realtà verrà portata a pienezza dallo Spirito di Dio.

Il Signore, che comprende ogni nostra debolezza, rafforzi la nostra fede nella risurrezione e guidi i nostri «cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo» (2Ts 3,5).

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