Santa Messa della notte: Is 9,1-6 Sal 95 Tt 2,11-14 Lc 2,1-14
Il primo nome menzionato, nel brano del vangelo che abbiamo ascoltato in questa notte di Natale, è quello di Cesare Ottaviano, che nell’anno 27 prima di Cristo, si era fatto attribuire dal Senato il titolo di Augusto che significa “degno di adorazione”. Ottaviano era un uomo il cui potere influenzava il mondo, smuoveva le folle e pretendeva gli fosse tributato il culto riservato alla divinità.
Oggi non esiste più l’Imperatore Ottaviano Augusto, ma i pretendenti ad occupare il suo posto per dominare sulle sorti dell’umanità sono forse aumentati.
Nel corso della storia molti si sono presentati chiedendo di essere riconosciuti come salvatori e in grado di portare al mondo giustizia, pace e amore, producendo ingiustizie, guerre e odio.
È autodistruttivo pensare di essere quello che non siamo e pretendere di essere i salvatori del mondo. Come ha scritto Giovanni Paolo II «Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un’organizzazione sociale perfetta che renda impossibile il male, ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla» (C.A, 25).
Alle pretese dell’uomo di essere di essere come Dio, Dio risponde facendosi uomo. Mentre l’Imperatore conta le sue forze con il censimento, mentre Quirino governa, l’annuncio della salvezza è portato ai pastori, cioè agli emarginati, a quelli che non contano niente.
L’impensabile evento dell’incarnazione, avviene lontano dai riflettori della mondanità, nel più assoluto nascondimento e silenzio, in un posto sperduto del mondo, e viene rivelato, non ai potenti della terra, ma a persone che erano considerate prive di dignità e lontane da Dio.
Gli angeli si presentano ai pastori e a loro annunciano una notizia inattesa e sorprendente, che è motivo di grande gioia: «è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11).
Come evidenziano i riferimenti storici, evocati dalla citazione di Cesare, Quirino e del censimento, e come manifestano gli umili dettagli, «lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia» (Lc 2,7), la nascita di Gesù non è astratta, ma concreta, non è concettuale, ma profondamente carnale.
«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). La luce che inonda la notte dei pastori è la luce che penetra anche la nostra notte.
La nascita di Gesù non è solo una storia da raccontare, un avvenimento da mettere in scena, ma una lieta notizia, per noi, abitanti di un mondo e di un tempo lontano da quello in cui è nato Gesù, ma bisognosi di un Dio che continuamente viene.
L’annuncio di questa nascita è per chi, oggi come allora, attraversa notti che sembrano non finire mai, segnate dal dolore, dal dubbio, dalla solitudine, dalla rassegnazione.
L’annuncio è per chi, accecato dalle luci del mondo che valorizzano solo il bello, il giovane e il forte, non sa accettare i limiti e le fragilità umana come componente della vita e della propria personalità
L’annuncio di una «gioia è grande» (Lc 2,10) è per tutti coloro che sono assetati di vita e di eternità. È per noi che siamo riuniti nel celebrare il grande mistero dell’incarnazione del Verbo (cfr Gv 1,14.).
A noi, come ai pastori, l’annuncio non ci è solo rivolto, ma ci viene anche affidato. Siamo noi, oggi, i pastori che si lasciano raggiungere da questa lieta notizia e avvolgere dalla luce. E siamo noi che, gli angeli prima e i pastori poi, siamo chiamati a diventare messaggeri della venuta di Dio nella nostra carne.
Per accogliere l’annuncio e diventare annunciatori, bisogna permettere a Dio di volerci bene, di entrare nella nostra vita, di portare quella tenerezza, quella semplicità e quella speranza di cui abbiamo bisogno per essere più umani e per sprigionare tutte le nostre risorse.
Anche per noi è «apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza» (2Tt 2,11), che ci apre a una vita piena di sobrietà, di giustizia, di pietà e di opere buone che ci rendono testimoni credibili del suo Vangelo.
Fermiamoci un attimo davanti al bambino Gesù, per lasciarsi avvolgere dalla sua luce che illumina e vince ogni tenebra e che porta con sé il calore di un Dio che ha scelto di prendere la carne di un uomo, per amore.