Omelia Badia Fiorentina 10 febbraio 2023

Venerdì Quinta Settimana Per Annum – Santa Scolastica: Gen 3,1-8   Sal 31   Mc 7,31-37

Il serrato dialogo fra il serpente e la donna, che la liturgia di oggi ci presenta, si apre per iniziativa del serpente, che con ostentata indifferenza chiede alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?»  (Gen 3,1).

Dio aveva posto l’accento sul dono: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,16.17). Il serpente, invece, pone l’accento sulla proibizione, deformandola, per presentare Dio come un dittatore, che impartisce ordini e divieti per salvaguardare il suo dominio sull’umanità.

La donna sembra non abboccare alla provocazione del serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare». Ma subito dopo afferma: «del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”» (Gen 3,3).

In verità, al centro del giardino c’è l’albero della vita (Gen 2,9), non l’albero della conoscenza. La confusione sui due alberi altera la comprensione di quello che è bene o male, quello che dà vita o morte.

Per suscitare il sospetto che Dio è geloso della propria superiorità e che vuole mantenere l’essere umano sottomesso, prendendo spunto dalle ultime parole della donna, il serpente sferra l’attacco finale: «Non morirete affatto!». Anzi, mangiandone «sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gen 3,4.5).

Le seducenti parole del serpente cambiano lo sguardo sulla realtà e guidano la scelta: «allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito» (Gen 3,6).

L’epilogo è conseguenza del fatto che la donna e l’uomo, che appare assente e senza parole in tutta la scena, anziché valutare le cose buone donate da Dio e misurarsi sul senso del comandamento da lui dato, credono alle parole del serpente, anche se non ha portato a supporto nessuna evidenza concreta.

Dopo aver mangiato il frutto dell’albero, però, la donna e l’uomo si scoprono vulnerabili, la paura li porta a nascondersi e poi ad accusarsi a vicenda.

Questo racconto suscita molte domande e molte riflessioni, a partire dall’immagine di Dio e di noi stessi che abita nel nostro cuore.

Immagine che il Verbo fatto carne (Cfr Gv 1,14) libera da ogni ambigua soggettività, rivelando la verità di Dio e la verità della persona da lui creata a propria immagine e somiglianza (Cfr Gen 1,26)

Gesù con sguardi, parole e azioni, come dimostra anche il brano del vangelo di oggi, rivela che Dio è Padre e che vuole il bene della persona umana, da lui creata e amata.

L’evangelista Marco ci racconta che, al sordomuto che gli viene portato, Gesù restituisce la capacità di ascoltare e di parlare, «correttamente» (Mc 7,35), attraverso un particolare contatto fisico, «gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua», uno specifico atteggiamento, «guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro» e una parola: «Effatà», cioè: «Apriti!» Mc 7,34).

Apriti! È un imperativo che il Signore rivolge a ciascuno di noi, qualsiasi sia il nostro stato di vita. Nessuno può abdicare alla responsabilità di ascoltare, di vedere e anche di parlare.

Ad eccezione del diavolo, che per sua natura tende a dividere la creatura dal creatore e le persone fra loro per condurle alla perdizione, siamo chiamati a sviluppare con tutti la nostra capacità di relazione e di comunione.

La memoria di Santa Scolastica, sorella di San Benedetto, ci fa riflettere, al femminile, sugli inizi del monachesimo occidentale, fondato non sul solo silenzio e sulla solitudine, ma sulla stabilità della vita in comune: servire Dio senza “fuggire dal mondo”, ma vivendo in comunità stabili e organizzate e dividendo il proprio tempo fra preghiera, lavoro, studio e riposo.

Il dialogo tra Santa Scolastica e San Benedetto, per me è sempre stato illuminante: il desiderio di dialogo e la preghiera della sorella trovano il consenso di Dio più che la fedeltà allo schema monastico di Benedetto: «Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero», come racconta nei «Dialoghi» san Gregorio Magno.

Lo stesso Gregorio Magno commenta: «Non fa meraviglia che Scolastica abbia avuto più potere del fratello. Siccome, secondo la parola di Giovanni, «Dio è amore», fu molto giusto che potesse di più colei che più amò».

Questo, per voi fratelli e sorelle di Gerusalemme, non significa che non dovete essere fedeli alle norme monastiche, ma che queste norme non possono soffocare l’amore e neppure la creatività e la novità di Dio.

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