Seconda domenica Per Annum A: Lv 19,1-2.17-18 Sal 102 1Cor 3,16-23 Mt 5,38-48
La vita cristiana è testimonianza della presenza della vita di Dio in noi e tra noi e non si limita a un comportamento umanamente buono e corretto.
Come abbiamo visto nelle domeniche scorse, il discepolo è chiamato a vivere nel mondo seguendo sempre la sapienza che proviene da Dio.
La liturgia di questa domenica si fa ancora esigente, chiamando il discepolo ad essere riflesso concreto dell’amore e della bontà di Dio.
La prima lettura inizia con un invito molto forte: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lev 19,2). Invito che ritroviamo nel vangelo, con parole diverse: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).
Anche la definizione della comunità cristiana come tempio dello Spirito di Dio, di cui parla Paolo nella seconda lettura, sottolinea la stretta relazione tra Dio e i discepoli e dei discepoli fra loro. Nessuna azione solitaria, anche buona in sé stessa, può contribuire all’edificazione del corpo di Cristo. È vero che «tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,23).
Senza un tu, l’io diviene sterile, si svuota. Senza un noi il tu inaridisce. In ogni relazione sono necessarie condivisione, creatività, movimento, attesa e riflessione.
Nell’amare, e anche nel fare il bene, è sempre necessario essere vigili e non muoversi come se tutto dipendesse da noi: l’amore, come il nostro fare il bene, hanno costantemente bisogno di essere guariti dall’autoreferenzialità e riorientati alla logica della comunione, per non scivolare in dinamiche umanamente meritevoli, ma solo umane.
Le parole di Gesù sono un forte appello ad andare oltre gli equilibri e la logica della reciprocità, anche se in molti contesti hanno permesso di limitare la spirale di violenza.
La legge del taglione, «occhio per occhio e dente per dente» (Mt 3,38) ad esempio, ha certamente permesso di arginare la corrente travolgente della vendetta, mettendo un limite alla reazione, ma non può essere considerata come il modello delle relazioni umane. Sicuramente non è il modello delle relazioni del discepolo.
Gesù sa anche che l’unica legge che può davvero cambiare le cose e rendere «perfetti come il padre celeste» (Mt 5,48) è quella dell’amore.
Il modello di giustizia a sostegno della vita personale e sociale del discepolo, Gesù lo esplicita con esempi paradossali, tratti dalla vita concreta del mondo giudaico.
Con questi esempi, Gesù non parla soltanto di non-violenza e non invita alla rassegnazione, ma propone una strategia attiva e aperta, volta a creare un rapporto nuovo con l’avversario, liberando le relazioni dalla logica e dalla prassi dell’ingiustizia e della violenza.
L’atteggiamento che Gesù suggerisce al discepolo non va preso alla lettera, ma compreso nello spirito: porgere l’altra guancia a chi ti percuote con uno schiaffo, lasciare anche il mantello a chi vuole sottrarti la tunica, fare liberamente due miglia con colui che ti obbliga a farne uno (Mt 5,39-41).
Gesù stesso, ad esempio, quando ha ricevuto uno schiaffo durante l’interrogatorio del sacerdote Anna ha protestato (Gv 18,23), non ha presentato passivamente l’altra guancia.
Quello che Gesù chiede ai discepoli è la disposizione interiore ad accettare l’ingiustizia, a sopportare l’umiliazione, anziché reagire sullo stesso piano, per testimoniare che un’altra via è possibile.
Se alla violenza si reagisce con altra violenza, non solo non viene eliminata la prima ingiustizia, ma se ne aggiunge un’altra. È qualcosa di già visto, che si ripete senza sosta fin dagli inizi dell’umanità.
Il circolo vizioso di violenza può essere spezzato solo con un gesto originale, assolutamente nuovo: il perdono.
Lo stile di vita suggerito da Gesù, per essere figli del Padre che è nei cieli, esige una profonda comunione con lui e distingue nettamente i discepoli da coloro che non lo sono, in un programma fondato sull’amore: amate e pregate per i vostri nemici, salutate tutti quelli che incontrate.
La fede è apertura al futuro di Dio. Ed è in questa fede che, al di là delle nostre contraddizioni e delle nostre debolezze, che si rende visibile come l’amore di Dio è più forte del male e della morte.