Ventunesima domenica Tempo Ordinario – Anno A: Is 22,19-23 Sal 137 Rm 11,33-36 Mt 16,13-20
Il brano del vangelo di oggi rappresenta un punto di svolta. Dopo aver percorso le strade della Galilea – insegnando, guarendo infermi e malati e liberando indemoniati – Gesù conduce i suoi discepoli molto a nord, a Cesarea di Filippo, da cui poi riparte per tornare indietro e scendere verso Gerusalemme.
Prima di intraprendere il percorso verso la sua passione, morte e risurrezione, Gesù pone ai suoi una domanda fondamentale: «chi dite che io sia?» (Mt 16,15).
La domanda sull’identità di Gesù è sempre attuale. Dovrebbe porsela ogni generazione di cristiani e dovremmo porcela ciascuno di noi in ogni stagione della nostra vita, giacché dobbiamo continuamente fare i conti con la grande differenza che esiste fra quello che Gesù è e il Gesù che noi vorremmo.
Come gli apostoli, che fino alla fine hanno visto in Gesù il Messia potente e glorioso venuto a liberare Israele, anche noi, troppo spesso, ci costruiamo un Gesù a misura delle nostre aspettative umane. Oppure ci limitiamo a scegliere gli aspetti che sembrano confermare il nostro pensiero, sorvolando su quelli che ci mettono in discussione.
Dal bisogno di un Dio che risolva i nostri problemi, possibilmente senza nessun nostro cambiamento, proliferano le devozioni e si moltiplicano le immagini religiose, spesso trasformate in idoli, oscurando e mettendo in secondo piano la vera figura di Gesù.
Gesù è novità assoluta è non può essere collocato in schemi religiosi tutti umani. E la fede non è questione intellettuale né espressione di sola emozione, ma esperienza di vita in Cristo.
Nella domanda posta da Gesù sulla sua identità, c’è anche il rapporto che abbiamo con lui e tutto il senso dell’esistenza. Non basta una risposta per sentito dire e neppure una risposta formalmente precisa ma astratta: ci vuole il coinvolgimento personale. Si tratta di amare con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (Cfr Mt 22,37).
Chi è Gesù per me? Per rispondere a questa domanda – o anche per prendere coscienza che non ci sentiamo di dare una vera risposta – è necessario chiudere i manuali e i catechismi, aprire il libro della vita e passare dal linguaggio concettuale a quello di chi ama: ad essere interpellati sono la mia vita, il mio cuore, le mie scelte.
Ciascuno di noi – io per primo che mi sono interrogato per l’intera settimana senza arrivare a una risposta esistenzialmente coinvolgente – deve fare il salto dal “si dice”, contenuto nella prima domanda fatta da Gesù ai suoi, per approdare a quel che io dico, a quel che credo io.
La vita vera non è quello che si dice della vita, ma ciò che concretamente si vive. E Cristo, per me, non è quello che dico di lui, ma quello che vive in me, quello che vivo per lui, con lui e in lui.
La fede in Cristo non si gioca sulle parole, nemmeno sulle formule di fede. Si gioca sui fatti, perché la fede è una concreta modalità di vita e la parola e la relazione con Gesù incidono nella concretezza delle nostre scelte.
Come ben sappiamo, la vita ci mette alla prova, ci trasforma. La fede, per essere viva e vera, non può rimanere sempre uguale, senza mai essere assalita dal dubbio. La fede deve cambiare e crescere con noi, lasciandosi purificare e provocare dalla storia e dagli eventi che segnano le nostre vite.
La giusta risposta data da Pietro è rivelata dal Padre «che è nei cieli» (Mt 16,17). Ma non è la sua risposta. Come dimostreranno i fatti che seguono, Pietro non ha capito quale tipo di regno il suo Maestro è venuto a realizzare e quando arriva il momento cruciale sarà così debole da rinnegarlo.
Ciò che salva Pietro e gli consente di essere, come ha detto Gesù, pietra di riferimento dei fratelli nella fede, è il suo rimanere sempre fiduciosamente ancorato a lui in ogni sua debolezza, anche quando capirà di aver tradito.
Le parole di Gesù «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18), sono parole di futuro e ci dicono che è in questa “sua” Chiesa che i credenti in Gesù ricevono, professano e vivono la loro fede.
La Chiesa è l’esperienza, umanamente imperfetta ma sicura, con cui Gesù Cristo ci raggiunge. Ed è nella Chiesa che verifichiamo il nostro cammino, lasciando che risuoni e scavi dentro di noi la domanda che Gesù costantemente ci pone: Chi sono io per te?