Natività della Beata Vergine Maria – Festa patronale parrocchiale: Mi 5,1-4 Sal 12 Mt 1,1-16.18-23
Aver scelto la Natività di Maria come festa patronale ci stimola a pensare il nostro itinerario terreno, personale e comunitario, avendo come riferimento l’intero percorso da lei fatto, dalla sua immacolata concezione alla sua assunzione al cielo, leggendo la vita e la storia nella sua dimensione di cammino verso la pienezza.
Siamo tutti parte di una storia che ci precede e ci accompagna: quella più generale dell’umanità, quella più specifica della città e della comunità cristiana in cui viviamo e quella particolarissima della famiglia da cui proveniamo e quella a cui apparteniamo.
In modi diversi, siamo anche protagonisti e responsabili di come questa storia prosegue il suo cammino, pur consapevoli che, nella pienezza dei tempi, il disegno del Padre è di «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10).
Con il sì di Maria all’angelo «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1.14) e si è aperta una nuova fase della storia.
In misura certamente diversa da quella di Maria, e diversa anche da tutte le altre persone, ogni nostro sì – come ogni nostro no, che può essere pronunciato anche con la nostra indifferenza – influisce sempre nella storia, in quella personale di ciascuno, in quella della nostra famiglia e in quella della nostra comunità, della nostra città, di questo nostro mondo.
Guardare a Maria alla ripresa dell’attività, dopo la pausa estiva, ci aiuta a non pensare l’anno pastorale come una grande scatola in cui inserire il maggior numero di iniziative possibili, ma come cammino in cui, come lei, siamo chiamati a dire il nostro sì, per accogliere Cristo e generarlo, rendendo possibile l’incontro con lui, per alle donne e gli uomini di questo nostro tempo.
Il solo pensare di poter rispondere ad ogni domanda che ci raggiunge e ad ogni bisogno che incontriamo, rischia di farci scivolare nel delirio di onnipotenza. Nessuno può dare quello che non ha, quello che non è e quello che non può essere. Non siamo Dio.
Come Maria siamo chiamati umilmente a mettere a disposizione quello che siamo, pronti a rispondere all’iniziativa di Dio. Maria era certamente disponibile a fare la volontà di Dio anche prima dell’annuncio dell’angelo, ma questa sua disponibilità è diventata dono di vita quando Dio ha preso l’iniziativa.
L’attenzione ai programmi è certamente necessaria, ma la prima attenzione dovrebbe essere quella di favorire, o quantomeno non ostacolare, la novità con cui Dio decide di rendersi presente nella nostra vita personale e in quella della nostra comunità.
La Chiesa, sacramento universale di salvezza, esiste per evangelizzare. Evangelizzando fa promozione umana. Se la promozione umana non è illuminata e sostenuta dal Cristo e dal suo Vangelo, ci trasformeremo in una «ONG assistenziale» e non saremo più «la Chiesa, Sposa del Signore», per usare le parole pronunciate da Papa Francesco nella sua prima omelia parlando ai cardinali.
Dobbiamo davvero essere consapevoli che il Vangelo è il più potente e radicale agente di trasformazione della storia, e di risposta si bisogni profondi di ogni persona, non in contraddizione, ma proprio grazie alla dimensione spirituale e trascendente in cui è radicato e verso cui orienta.
Dobbiamo prendere atto che nelle nostre parrocchie non riusciamo a generare alla fede e a educare alla maturità di una vita adulta. Rimaniamo troppo nell’astrazione o ci focalizziamo su specifiche attività, senza assumere la complessità dell’umano e coltivando spiritualità genericamente religiose e ‘devozioni’ animate da spirito chiuso e militante, che di fatto offuscano la centralità di Gesù Cristo e non aiutano a crescere.
È indispensabile rimettere al centro l’avvenimento Gesù Cristo, tenendo ben presente che la fede in lui è narrazione viva e che la forza missionaria della chiesa, come dimostra l’esperienza dei primi secoli, è data dalla sua forte connotazione relazionale.
Per mettere, o rimettere, al centro Gesù Cristo, non possono bastare, ad esempio, momenti formativi che si limitano a dare un buon bagaglio di informazioni e di conoscenze bibliche, ma che non abituano a scavare in sé stessi, a raccontarsi e a relazionarsi.
Dovrà pur dire qualcosa il fatto che, nonostante incontri e preghiere, nessuno si racconta: neppure i preti e coloro che svolgono servizi liturgici, catechistici e caritativi conoscono la storia di vita e di fede gli uni degli altri.
Dobbiamo prendere atto che l’ansia da prestazione per la riuscita delle iniziative, siano esse catechistiche o caritative o di preghiera, deriva proprio dalla mancanza della dimensione relazionale e educativa della vita e della fede.
Dobbiamo pure prendere atto che molti problemi, anche drammatici, con cui siamo chiamati a misurarci e di cui le cronache ci parlano ogni giorno, sono frutto del deserto culturale e educativo che abbiamo contribuito a creare negli anni, privilegiando gli aspetti funzionali ed emergenziali, seppellendo l’idea di responsabilità sotto le spinte individualistiche, offuscando la verità della persona con moralismi retorici e soffocanti.
Se è vero che il processo educativo richiede tempo, è altrettanto vero che educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non vi sarà mai raccolta.
È in questa dimensione narrativa, relazionale e educativa che cercheremo di collocare ogni nostra attività, a partire da quelle che ci propone la Chiesa come la catechesi biblica per gli adulti; il percorso verso il Giubileo del 2025; il proseguimento del cammino sinodale e la preparazione alla Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, che per loro natura esigono relazionalità e narrazione.
L’incontro comunitario, programmato per il pomeriggio di domenica 24 settembre, è stato pensato proprio per cercare di rimettere al centro la dimensione relazionale, narrativa e educativa della fede, della vita, e per collocare le varie iniziative all’interno di questo orizzonte.
Maria, che oggi festeggiamo nascente, ci accompagni nel nostro cammino e faccia risuonare nel nostro cuore le parole da lei dette ai servi alle nozze di Cana, indicando il figlio Gesù: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5).