Omelia Badia Fiorentina mercoledì 11 ottobre 2023

Mercoledì XXVII Settimana Tempo Ordinario – Anno dispari: Giona 4,1-11   Sal 85   Lc 11,1-4

«Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1b). Quella dei discepoli è una richiesta sempre attuale.  Anche quando preghiamo da tanti anni, dobbiamo continuamente disporci a imparare. Abbiamo sempre bisogno di un discernimento per capire se la nostra preghiera è davvero a gloria di Dio, se è espressione del nostro essere e sentirci figli di un Padre che ci ama.

Come ogni pio israelita anche i discepoli pregano al mattino, con le benedizioni e lo Shemà, pregano il giorno di sabato, ascoltando la lettura e il commento della Torah. Ma chiedono comunque a Gesù di insegnare loro a pregare.

La loro domanda forse nasce da un’esigenza identitaria, motivata dal fatto che alcuni movimenti religiosi avevano preghiere che riflettevano i loro ideali e il loro rapporto con Dio, come farebbe pensare l’inciso «come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11,1c).

La richiesta di insegnare loro a pregare, può anche nascere dall’esigenza di essere introdotti a una relazione più intima con il Padre, maturata vedendo la vita di preghiera di Gesù, sia nella dimensione pubblica che in quella privata.

Il nostro bisogno di imparare a pregare è sempre grande, anche quando già preghiamo e siamo al servizio di Dio, come emerge dalla prima lettura e da tutta la vicenda del profeta Giona.

Il sentire e il pensare di Giona sono esattamente il contrario dell’inizio della preghiera insegnata da Gesù: «Padre, sia santificato il tuo nome» (Lc 11,2).

Giona conosce Dio da tutta la rivelazione biblica e sa che il suo nome viene santificato perdonando, ma si sdegna con il Signore proprio perché si manifesta per quello che è: «so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!» (Gio 4,2-3)

Giona aveva fatto di tutto per non andare a Ninive ad annunziare quanto richiestogli da Dio – «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta!» (Gio 3,4) – sapendo bene che un eventuale pentimento dei niniviti avrebbe bloccato la distruzione della città.

Il popolo di Ninive si è convertito e Dio manifesta il suo amore, la sua tenerezza, la sua misericordia, mentre Giona è in collera con Dio proprio perché manifesta il suo nome ai pagani.

Dio allora gli dà una lezione, con la vicenda della pianta di ricino (Gio 4,6-11), perché Giona capisca il motivo per cui ha compassione di coloro che ha creato e che per lui è “naturale” perdonare, chiamare alla vita e non alla morte.

Al di là delle parole che diciamo nella preghiera, può succedere anche a noi di essere come Giona e di non desiderare nei fatti che il nome di Dio venga santificato; di non volere che Dio si manifesti sempre pieno di mitezza e di pazienza, ma che intervenga con violenza contro i malvagi senza aspettare che le persone si convertano.

Le nostre reazioni spesso sono simili a quelle di Giona. Più che «Padre sia santificato il tuo nome» (Lc 11,2), pensiamo e diciamo: si realizzino le mie idee, si compiano i miei desideri, trionfi il mio modo di vedere….

Vogliamo riuscire in quel che facciamo; vogliamo che il nostro punto di vista prevalga; vogliamo che i criminali siano eliminati… Mentre Dio non interviene per evitarci di sbagliare, lascia che gli altri non tengano conto delle nostre opinioni, fa splendere il suo sole sui buoni e sui malvagi.

Le nostre preghiere riflettono e promuovono l’immagine di Dio che ci portiamo dentro e annunciamo al mondo, ma non sempre questa immagine è coerente con il volto del Padre presentato da Gesù. E anche quando lo è, può capitare che nei fatti la rifiutiamo come ha fatto Giona.

Abbiamo dunque bisogno che il Signore ci insegni a pregare, che metta nel cuore un desiderio profondo della sua manifestazione in noi e negli altri.

Più impariamo a pregare, più il nostro cuore si libera dai condizionamenti anche religiosi che ci impediscono di contemplare e di accogliere il vero volto di Dio. Più impariamo a pregare, più diventa profondo il legame tra l’amore gratuito del Padre e il nostro vivere alla sequela di Cristo.

San Giovanni XXIII, di cui oggi facciamo memoria, interceda per noi, perché impariamo a pregare e perché in questo nostro mondo martoriato dai conflitti il desiderio di pace prevalga sul desiderio di guerra e di vendetta.

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