Prima domenica di Avvento anno B: Is 63,16-17.19; 64,2-7 Sal 79 1Cor 1,3-9 Mc 13,33-37
Per essere discepoli di Gesù Cristo non è sufficiente assumere un particolare stile di vita, seguire una specifica morale o far propri i contenuti di fede.
Si diviene discepoli di Gesù Cristo solo se ci si sente attratti da lui, se si cerca il suo volto e si risponde al suo amore con l’amore; se viviamo il nostro tempo nell’operosa, creativa e comunitaria attesa del definitivo incontro con lui, Signore della vita e della storia.
L’attesa che caratterizza il tempo di Avvento non è primariamente quella del Natale, ma quella in cui, ogni anno, siamo chiamati a prendere sempre più coscienza della nostra identità cristiana di donne e uomini che vivono in attesa della piena manifestazione del Signore.
Quella proposta dal tempo di Avvento non è un’attesa che porta ad evadere dalla concretezza della vita, ma che spinge a vivere le scelte che facciamo e le vicende della storia con la forza e lo slancio di chi sa che il Signore è presente e che si manifesterà in pienezza alla fine dei tempi.
Chi si appiattisce sull’oggi, come fosse l’unico orizzonte, impoverisce sé stesso, perché l’essere umano ha una dimensione storica. E non può essere discepolo di Cristo, perché tradisce l’essenza della rivelazione e della salvezza, che si dipana lungo la storia ed è attesa del Signore che viene.
Il «Verbo che si è fatto carne» (Gv 1,14), che celebriamo a Natale e che verrà glorioso alla fine dei tempi, va attesto e accolto ogni giorno, perché continuamente viene a bussare alla porta della nostra vita.
Pensare il periodo di Avvento solo come preparazione al Natale, sterilizza la dimensione e la portata essenziale di questo tempo liturgico, che ci invita ad interrogarci sulle nostre attese e sulle nostre speranze, a verificare se il nostro vivere è animato dall’attesa del Signore o appiattito sulle piccole speranze che il mondo ci propone.
Ecco perché la Chiesa ci fa iniziare l’Avvento e l’intero anno liturgico con il richiamo di Gesù al suo ritorno: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento» (Mc 13,33).
Fare attenzione, senza assopirsi, senza lasciarsi assorbire dal presente e dalle cose e senza chiuderci in un individualismo che consuma, richiede un nuovo sguardo sulla vita e un costante cammino di conversione della mente e del cuore.
Non conosciamo i tempi e non dominiamo il tempo. Per aiutarci a vivere quello che ci è concesso con uno sguardo attento e vigile, Gesù racconta una breve parabola, che parla di un uomo che parte per un viaggio e lascia la sua casa ai servi, affidando a ciascuno il proprio compito. Al portiere è affidato il compito di vegliare, che poi viene esteso a tutti.
Vegliare è un atteggiamento del cuore, un modo di stare al mondo: è dare valore al tempo, è vivere consapevoli che siamo in cammino verso l’incontro col Signore, è scoprire, già qui e ora, i segni della presenza di Dio e del suo amore.
Il discepolo è chiamato a vegliare e a porre attenzione alla realtà umana, ai fatti e agli avvenimenti del tempo in cui vive, ad animare la storia umana secondo la logica del Regno.
«Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Mc 13,37). Addormentarsi non è altro che perdere la necessaria consapevolezza dello scorrere del tempo, vivere come se la storia fosse solo una serie di eventi chiusi in sé stessi e perfino privatizzare la propria fede. Assopirsi porta a vivere quel che facciamo nell’oggi come se fosse il tutto della nostra vita.
L’Avvento, e l’intero anno liturgico, invece, ci offre uno sguardo sul futuro, per mettere subito in chiaro che siamo in cammino e che abbiamo una meta di vita. Solo con lo sguardo rivolto alla meta il cammino trova il suo senso.
Avere una meta ci impedisce di guardare alle cose del mondo come fossero capaci di realizzare tutte le aspirazioni umane e, viceversa, ci impedisce di vederle come accessori, senza valore.
Come afferma la parabola, il modo per rimanere svegli e per usare bene le cose del mondo, consiste nell’essere fedeli al compito che ci è stato affidato; essere presenti a sé stessi e aperti ad accogliere con gioia il Signore che viene.