Solennità di Maria Santissima Madre di Dio: Nm 6, 22-27 Sal 66 Gal 4,4-7 Lc 2,16-21
Giunti al termine di un altro anno civile siamo stimolati a prendere coscienza del valore del tempo, delle responsabilità su quello trascorso e delle attese verso quello che ci sta davanti.
La prospettiva del tempo che scorre ci ricorda la nostra provvisorietà e ci spinge a fare doverosi bilanci, intrecciando la dimensione personale con la dimensione sociale della vita.
I bilanci, pertanto, debbono tener conto delle grandi questioni che anche nell’anno che si sta chiudendo hanno reso ancora più drammatica la già pesante situazione di questo nostro mondo. Basta pensare, per citare un solo grave esempio, al terribile attentato a Israele del gruppo islamista paramilitare di Hamas e della pesante controffensiva di Israele nella striscia di Gaza.
I nostri bilanci debbono pure guardare alla nostra comunità ecclesiale e alla comunità locale, con i problemi ancora irrisolti, con quelli nuovi che emergono, con le sfide e le prospettive per il futuro, per come noi ci siamo posti e per come intendiamo porci nell’anno che si apre.
Il bilancio non può non riguardare la nostra famiglia e la nostra stessa vita, considerando come abbiamo usato il tempo trascorso, se e come abbiamo risposto alle responsabilità alle quali siamo stati chiamati da persone e situazioni.
Mentre riconosciamo le ferite che ci affliggono occorre anche guardare al cammino che dobbiamo percorrere; dobbiamo saper riconoscere i passi compiuti e i segni e i semi di vita buona presenti in noi e nel nostro mondo, per coltivarli e farli crescere. Dobbiamo anche saper riconoscere i nostri desideri, quelli che fanno crescere e quelli che distruttivi.
I nostri desideri debbono sempre confrontarsi con leggi e regole, ma soprattutto con la verità di noi stessi.
Se le regole aiutano la quotidiana convivenza, come può essere, al semaforo, il fermarsi al rosso e il ripartire col verde, la legge, soprattutto la legge di Dio rivelata nella scrittura, ha un senso molto più profondo, perché ci mette in rapporto con noi stessi, con gli altri e con Dio stesso.
La parola di Dio fa capire il nostro valore, ma ci fa anche capire che non si può avere tutto, non si può godere di tutto, non tutto è giusto e consentito, che la libertà non è cieco arbitrio e che non ci pone contro e sopra gli altri.
Il comando di Dio, che trova compimento nell’amore, non limita le nostre scelte, il nostro desiderio di vita. Anzi, ci spinge a seguire il desiderio fondamentale della vita anche quando porta al conflitto con le persone care, che hanno altri desideri e che vorrebbero seguissimo altre strade. Il desiderio che va seguito, e che conduce a una sempre maggiore maturità, è quello generativo, fecondo, che ci apre all’altro.
Dobbiamo però guardarci dai desideri che ci lasciano nell’immaturità, che non sono generativi e facilmente riconoscibili, anche quando si camuffano col linguaggio dell’amore.
Non è certamente un desiderio sano voler imporre a un’altra persona la misura della felicità, di quella che si pensa essere la felicita. Non è certamente sano e generativo il desiderio di un figlio maturato in una situazione di crisi personale o relazionale, mentre è positivo e generativo il desiderio di un figlio che nasce all’interno di una riuscita relazione amorosa.
Il moltiplicarsi dei femminicidi, ad esempio, dimostra in modo drammatico quanto sia patologico il desiderio dell’uomo che vuole controllare la donna, tanto da arrivare a ucciderla se non riesce a possederla come vorrebbe.
Solo se ci liberiamo di una considerazione troppo alta di noi stessi, della convinzione di essere unici portatori delle visioni giuste, diventeremo più capaci di maturare e vivere desideri grandi, di affrontare seriamente le varie questioni e di guardare in volto le persone e capirne i problemi. E, come credenti in Cristo, saremo più capaci di lasciarsi illuminare e plasmare dal vangelo.
Per leggere gli eventi del mondo, ma anche quelli di casa nostra e quello che si muove dentro di noi, occorre assumere l’atteggiamento di Maria, che custodiva e meditava tutto nel suo cuore (cfr Lc 2,16).
Come ogni anno concluderemo questa nostra celebrazione con il canto del Te Deum: un rendimento di grazie corale, che nascere dal profondo della nostra personale interiorità.
Forse canteremo il Te Deum affaticati da un anno difficile e anche un po’ smarriti dagli avvenimenti e dalla nostra fragilità. Ma certamente lo canteremo con quella speranza che deriva dall’incrollabile certezza che nella «pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio» (Gal 4,4) e che, come abbiamo udito nella prima lettura, il Signore ci benedice, fa risplendere per noi il suo volto, ci fa grazia e dona pace.