Seconda domenica tempo ordinario anno B: 1 Sam 3,3-10.19 Sal 39 1Cor 6,13-15.17-20 Gv 1,35-42
Le letture di oggi ci dicono che Dio irrompe nella nostra vita: con la sua Parola ci chiama, ci invita ad aprire il cuore e la mente, per vivere con lui una relazione sempre nuova e più profonda.
Le letture ci suggeriscono che nella vita, da soli, non possiamo neppure educare il cuore all’ascolto di Dio e della sua parola e tanto meno seguirlo.
Al centro della prima lettura troviamo l’esperienza di Samuele. Nonostante la sua pronta disponibilità, inizialmente non riesce a rispondere alla chiamata di Dio, perché «fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore» (1 Sam 3,7).
Con l’aiuto del vecchio sacerdote Eli, che gli suggerisce l’atteggiamento giusto, Samuele si mette in ascolto del Signore ed entra in una relazione unica con lui, tanto che in tutta la sua vita non «lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole» (1 Sam 3,20).
Il vangelo ci presenta la figura di Giovanni Battista, che indica ai propri discepoli l’«agnello di Dio» (Gv 1,36), che il giorno prima aveva segnalato come «Colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29).
Per l’evangelista Giovanni il «peccato» è quella condizione esistenziale di chiusura relazionale, di mancanza di amore, che porta la persona a compiere peccati, a fare scelte e percorrere che allontanano dal proprio vero bene.
Gesù vivendo pienamente le relazioni e amando fino alla fine, vince proprio quella condizione di auto centramento e di chiusura dalla quale nascono i singoli peccati.
Andrea e l’altro discepolo non sono ancora in grado di comprendere il significato profondo delle parole del Battista su Gesù, però la sua vita e queste sue parole sono sufficienti per far sì che vadano dietro a Gesù. Pur non avendo chiarezza, sentono il bisogno di una pienezza che non hanno e si mettono in cammino, in ricerca.
In questo camminare si esprime la caratteristica di ogni esperienza di fede. Credere comporta uno stacco, una direzione, un dinamismo: non si può restare dove e come siamo.
Gesù, osservando che lo seguivano, li interpella direttamente: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Che cosa vi muove? Perché mi seguite? La domanda tende a far emergere il loro bisogno, a fare in modo che il loro desiderio venga fuori, cresca e maturi,
La risposta dei due discepoli non è precisa. Appare però chiaro che il loro non è un bisogno di nuove idee o di ulteriori definizioni di verità, ma un bisogno di fare esperienza; di un vivere un incontro autentico, significativo: «Dove dimori?» (Gv 1,38).
Gesù non manifesta la sua identità, non fa proclamazioni particolari, ma risponde sullo stesso piano della domanda: «Venite e vedrete» (Gv 1,39). State con me, prendete tutto il tempo necessario per conoscermi, per entrare nel mistero di Dio e di voi stessi.
Ogni incontro, per diventare significativo, ha bisogno di tempo, perché occorre stare insieme. Non si tratta di apprendere i contenuti di un insegnamento: questo possiamo farlo anche a distanza nello spazio e nel tempo.
Si tratta certamente di un’esperienza di conoscenza, ma non di nozioni, bensì di una persona: di colui che cambia la nostra vita.
Un incontro autentico rimane impresso nella memoria: i discepoli si ricordano l’ora precisa di quell’incontro e sentono anche l’esigenza di parlare e di condividere quello che hanno vissuto.
Quando l’incontro con Gesù è vero apre sempre alla condivisione: non si può trattenere la gioia e il bisogno di raccontare, affinché anche altri possano vivere la stessa esperienza, anche se con le modalità adatte alla loro personalità.
Andrea incontrò «per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia…e lo condusse da Gesù» (Gv 1,41). E «Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro» (Gv 1,42).
Un incontro diventa significativo per la propria vita se è anche fatto di sguardi. Senza soffermarsi sul fatto che lo sguardo, col quale esprimiamo noi stessi, ascoltiamo e leggiamo in profondità la vita dell’altro, dice la superficialità o la profondità di un incontro, possiamo concludere rilevando che anche sul piano delle fede abbiamo bisogno degli altri.
Samuele ha avuto bisogno di Eli; Andrea e l’altro discepolo hanno avuto bisogno di Giovanni Battista; Pietro ha avuto bisogno del fratello Andrea. Nessuno può essere cristiano da solo.
Solo il testimone maturo, però, può annunciare la bellezza di una relazione, senza presentare la propria esperienza come unica via per realizzarla.
Solo chi è amico di Dio e delle persone può introdurre altri alla stessa amicizia rispettando le loro caratteristiche e i loro tempi.