Memoria di Sant’Antonio abate – Mercoledì seconda settimana tempo ordinario – pari: 1 Sam 17,32-33.37.40-51 Sal 143 Mc 3,1-6
Dopo la sfida lanciata da Golia a Israele a nome dei Filistei (1 Sam 17,4-10), il giovane Davide si lascia toccare e interpellare personalmente dallo sconforto che regna nell’accampamento e si propone per combattere.
L’atteggiamento di Davide rappresenta una sfida per ciascuno di noi: ci spinge a osare di più. Di fronte agli avvenimenti e ai bisogni che incontriamo, anziché perderci in tante domande o limitarsi a chiederci «fra tutti perché proprio io?», dovremmo piuttosto domandarci: «perché non io?»
Questo racconto ci dice pure che ciascuno di noi ha un suo modo specifico di affrontare la vita e le sue difficoltà. Davide accetta di combattere, ma lo fa a suo modo: rinuncia all’armatura offertagli da Saul, che gli è più di intralcio che di aiuto, e ricorre alla sua abilità di pastore e alla sua «fionda» (17,49).
Il racconto del combattimento tra un «ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto» (1 Sam 17,42) e un «uomo d’armi fin dalla sua adolescenza» (17,36) ci dice pure che i nostri nemici più grandi, in fondo, sono sempre l’apparenza umana e la paura di rischiare.
Davide vince la paura e decide di affrontare un combattimento ben superiore alle sue forze, confidando unicamente nel sostegno di Dio, di cui conserva la memoria: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo» (1 Sam 17,37).
Come abbiamo ascoltato nel brano del vangelo, anche Gesù è impegnato nella lotta. Con la fionda del suo amore combatte la «durezza dei cuori» (Mc 3,5) di quelli che stanno con lui nella sinagoga, senza la minima compassione nei confronti di «un uomo che aveva una mano paralizzata» (Mc 3,1). Anzi, come osserva Marco, «stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo» (Mc 3,2).
Gesù non si trova a sfidare una potente figura umana come Golia, ma una certa immagine di Dio e una religiosità chiusa, che schiaccia l’uomo nella sua libertà e nel suo desiderio di vita: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?» (Mc 3,4).
Dopo la vittoria di Davide su Golia i Filistei «si diedero alla fuga» (1 Sam 17,51), dopo che Gesù ha guarito l’uomo dalla mano paralizzata, invece, «i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire» (Mc 3,6). E il combattimento prosegue.
Oggi celebriamo la memoria di Sant’Antonio Abate, considerato il padre del Monachesimo, anche se probabilmente non è stato il primo a scegliere la vita eremitica e ascetica.
La vita di Sant’Antonio, che voi, monache e monaci delle Fraternità Monastiche di Gerusalemme, conoscete molto meglio di me e sulla quale non mi soffermo, dimostra chiaramente che neppure lo stato di vita ascetico è immune dalle tentazioni, anche dure, e che il combattimento spirituale è una costante della nostra vita.
Qualsiasi sia il nostro stato di vita siamo tutti chiamati a combattere il maligno, che non sempre si presenta in modo manifesto: spesso, infatti, agisce attraverso meno evidenti ma reali paralisi del cuore, che bloccano la possibilità di vivere e di amare e che possono minare la fiducia in Dio Padre.
Un altro aspetto che l’esperienza di sant’Antonio mette in evidenza è che nessuno stato di vita può essere vissuto sganciato dal contesto e dagli avvenimenti del proprio tempo.
Antonio ha passato la maggior parte della sua lunga vita terrena nella solitudine, pregando e lavorando, ma si è anche relazionato con filosofi, governanti e semplici pellegrini, che cercavano in lui riferimento e consiglio. E non ha esitato a lasciare il suo eremitaggio e recarsi ad Alessandria, per sostenere e confortare i fratelli nella fede, quando imperversava la persecuzione contro i cristiani ordinata all’imperatore Massimino Daia, e per sostenere l’amico sant’Atanasio che combatteva l’eresia ariana.
Sant’Antonio, con tutta la sua vita, insegna a tutti noi che non possiamo fossilizzarci in niente, neppure in ciò che è buono, perché la chiamata di Dio esige continuo dinamismo, ci chiede di andare sempre oltre.
Sant’Antonio, padre dei monaci, accompagni il cammino personale e comunitario che le vostre Fraternità Monastiche stanno facendo e interceda per tutti noi.