Fratelli e Sorelle
Questa celebrazione rientra fra quelle promosse per questa Quaresima 1993: la celebrazione della Santa Messa in varie zone della nostra parrocchia, quale segno che la Chiesa, ossia il nostro essere Assemblea riunita da Cristo, si costruisce celebrando l’eucaristia, essendo l’eucaristia il Sacramento dell’amore del rendimento di grazie, e che l’eucaristia coinvolge il nostro vivere quotidiano; la partecipazione, di mercoledì scorso, all’udienza del Sommo Pontefice, quale segno che la Chiesa, pur radicandosi in ogni luogo, deve essere aperta ad una visione e ad una comunione universale.
Nella lettera con la quale motivavo le dimissioni da Segretario Provinciale della FILCA (27/3/84), a certo punto scrivevo: “Nel recente Catechismo degli adulti, ad un certo punto si afferma “L’uomo, qualsiasi uomo, è l’eterno roveto ardente di Dio, il permanente luogo della Sua manifestazione” e che “fare il cammino con l’uomo vuol dire incontrare Dio principio e ragione di ogni amore”. E continuavo dicendo che “la via che ho deciso di percorrere è una via che mi porta fuori dal sindacato (nel quale ho avuto modo di capire quanto l’uomo incide sulle varie questioni e quanto queste condizionano l’uomo e i suoi comportamenti), ma che mi unisce ancor di più all’uomo nella sua totalità, comprese le sue problematiche e i suoi bisogni”.
Queste parole mi sono tornate a mente venendo qui a Celebrare la Santa Messa,sia perché qui ci sono stato in diverse occasioni per incontrarmi con i lavoratori dell’edilizia, sia perché il mio ministero sacerdotale non può non guardare all’uomo nella sua concretezza. Come ricorda Giovanni Paolo II nella Redemptor Hominis:”L’uomo è la prima e fondamentale via della Chiesa”.
Oggi, però, anche se si continua ad appellarmi come il prete-sindacalista, né sono né faccio il sindacalista, ma il prete, il parroco di tutti e di ciascuno.
Indubbiamente tradirei il mio essere prete se mi limitassi a pensare alla solennità delle celebrazioni, disinteressandomi dei problemi che travagliano la vita e la coscienza dei miei parrocchiani. Se non avessi come obiettivo il bene dell’intera comunità che il Vescovo mi ha affidato. Se relegassi il mio ruolo all’ambito liturgico e assistenziale, senza cercare di incarnare nel contesto in cui vivo l’annuncio che Gesù Cristo è salvatore dell’uomo.
Qualcuno può dire: una volta che la posizione della chiesa è stata espressa basta, il resto non è compito del prete. Indubbiamente non rientra fra i compiti del prete individuare ed attuare quelle scelte tecnico-politiche necessarie per affrontare positivamente una situazione come quella determinatasi a San Donnino, ma è certamente compito del prete essere presente dove ci sono problemi, soprattutto i problemi che riguardano l’uomo.
Giovanni Paolo II, con la sua attività pastorale, insegna che non è sufficiente limitarsi ad esprimere il proprio pensiero, ma che è necessario essere presenti nei problemi. Ad esempio, in occasione della guerra nel Golfo, il Papa, non si è certamente limitato ad esprimere la posizione della Chiesa, ma dato che la cosa andava avanti, quasi ogni giorno faceva sentire la sua voce. E cosa fa adesso per le vicende della Ex-Jugoslavia?
Indubbiamente essere presenti sulle cose è un rischio ed espone ai tentativi di strumentalizzazione. Ma non è forse vero che qualsiasi cosa si possa dire o fare, ed anche il non far niente, può essere strumentalizzato? Anche Gesù Cristo, se non lo si accoglie nella sua globalità, viene strumentalizzato per i propri fini.
Il profeta Isaia, nella prima lettura, ci dice che il Servo del Signore è per tutte le nazioni, per tutte le genti. Anche perché, ce lo ricorda l’evangelista Marco (il velo del Tempio si spezzo in due) non esiste più separazione fra sacro e profano: in Cristo non ci sono separazioni; le separazioni sono di fatto un’opposizione a Cristo.
Un prete, dunque, se vuole essere prete, deve far di tutto per creare le condizioni per il superamento di ciò che nei fatti divide, che si oppone all’unità. Non si oppone forse all’unità chi agisce con arroganza o sputando sentenze o inviando biglietti di cattivo gusto o cercando di coinvolgere la gente su posizioni radicali, intolleranti e, comunque, irrispettose della dignità umana e del bene comune?
Vorrei ricordare che compito del prete non è semplicemente quello di operare per l’affermazione della giustizia (cosa che indubbiamente va fatta), ma primariamente quello di rendere presente, con la Parola e i Sacramenti, l’amore di Dio per l’uomo, in modo che -sentendosi amato- possa avviare “quel cambiamento intimo e radicale, per effetto del quale l’uomo comincia a pensare, a giudicare e a riordinare la sua vita, mosso dalla santità e dalla bontà di Dio” (Rito della Penitenza).
Per un prete, è un dolore quando i suoi parrocchiani non riescono a lavorare insieme, ma il dolore è ancora più grande quando non riescono a lavorare insieme coloro che insieme pregano.
Giovanni Paolo II, nell’udienza di mercoledì 31 marzo, ci ha invitato a pregare ed a lavorare insieme per superare insieme le difficoltà, esortandoci ” a testimoniare la carità di Cristo in ogni situazione, operando quale fermento evangelico all’interno della società” (cf L’Osservatore Romano del 1/4/93 p.5).
Raccogliamo questa esortazione e muoviamoci tutti in tal senso.
Che lo Spirito Santo scaldi i nostri cuori e guidi i nostri passi.