IV Domenica Tempo Ordinario Anno B: Dt 18,15-20 – Dal Sal 94 – 1Cor 7,32-35 – Mc 1,21-28
Dopo aver chiamato i suoi primi discepoli, Gesù comincia la sua missione partendo dalla sinagoga (di Cafarnao), luogo sacro e privilegiato della religione ebraica
Nella Sinagoga, ogni sabato gli scribi insegnavano a partire da brani della Scrittura.
Entrato nella sinagoga, anche Gesù inizia a insegnare, lasciando stupiti i presenti, perché «insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,21), che per darsi autorità, ostentavano il loro bagaglio di conoscenze citando famosi rabbini.
La gente si stupiva dell’insegnamento di Gesù, perché non esibisce le sue conoscenze e non è diretto solo all’intelligenza e al fare, ma punta ad accendere e muovere il cuore.
Ad ascoltarlo c’è anche un uomo posseduto da uno spirito impuro, che probabilmente si recava spesso alla sinagoga, senza che né lui né gli altri si accorgessero che era abitato da un demonio.
Lo spirito impuro non veniva disturbato forse per la predicazione astratta degli scribi, che non colpiva nel profondo, o per la frequentazione superficiale dell’uomo, come può avvenire per un praticante abitudinario, che vive per consuetudine un’esperienza che non lo interroga.
Questo ci dice che si può passare tutta una vita andando ogni sabato in sinagoga, ogni domenica in chiesa mantenendo dentro di noi uno spirito malato, un’anima lontana che non si lascia raggiungere.
Lo spirito viene allo scoperto quando avviene qualcosa di nuovo, quando percepisce come un pericolo Gesù che punta al cuore, che tende a innescare un vero processo di cambiamento.
E, usando un plurale che può far pensare che parla in nome di una mentalità diffusa, condivisa da molti, «cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?» (Mc 1,24)
Dio ci parla sempre per interrogandoci nel profondo, per scuoterci, per sollecitarci al cambiamento nel sentire, nel pensare e nell’agire.
Spesso siamo noi predicatori che, come gli scribi, rendiamo innocua la parola di Dio con il nostro argomentare astratto. Altre volte siamo noi, come credenti e praticanti, che rimaniamo in superficie, perché intuiamo che la parola che ci raggiunge potrebbe mettere in crisi la nostra vita.
E allora ci vuole uno scossone. Del resto, l’incontro vero con la Parola di Dio non è mai indolore. L’uomo della sinagoga viene liberato dallo spirito impuro proprio passando attraverso il dolore: «straziandolo e gridando forte, uscì da lui» (Mc 1,26)
Quando non avvertiamo nessun movimento interiore ascoltando la Parola di Dio, può essere utile farci una domanda: cos’è che non voglio sentire?
Come nelle relazioni con gli altri, per evitare scontri e scelte dolorose, spesso ci chiudiamo nei rapporti formali, può darsi che anche nel rapporto con Dio si sia adottata una qualche strategia per non essere disturbati nel nostro quieto vivere.
La parola di Gesù non cambia come il vento e non segue le mode e le convenienze del momento.
È parola solida e su di essa si può costruire la vita. È parola efficace: comanda al demonio «taci! Esci da lui!» (Mc 1,25).
Sapere chi è Gesù non equivale a farsi trasformare la vita da lui. Incontrarlo, riconoscerlo ma non seguirlo, non fa di noi suoi discepoli.
Per sintonizzarsi con quello che il Signore ci dice e ci domanda e trovare quella pienezza che ci promette, occorre mettersi in ascolto della sua parola, domandandoci fino a che punto siamo disposti a porci in discussione e a metterci in gioco. E invocare il dono dello Spirito!