Omelia Badia Fiorentina 28 gennaio 2021

Giovedì della Terza Settimana Tempo Ordinario (Eb 10,19-25  – Salmo 23 – Mc 4,21-25)  

Non si può certamente dire che San Tommaso d’Aquino, di cui oggi celebriamo la memoria, sia stato una lampada nascosta sotto il moggio, giacché i suoi scritti illuminano ancora oggi il pensiero umano e cristiano.

San Tommaso ci insegna che la condizione essenziale per essere luce, non consiste solo nel saper usare la propria intelligenza per ricercare il segreto delle cose, ma nel mettere la propria intelligenza in relazione con Dio.

Con l’intelligenza si possono fare molte cose e costruire sistemi di idee, ma la conoscenza e i sistemi di idee, da soli, non corrispondono alla saggezza e possono anche avere effetti devastanti per l’uomo e per il mondo, come la storia insegna.

Per vedere la luce presente nella creazione ed essere luce sopra il moggio, è necessario coltivare una feconda relazione con Dio, come suggerisce il libro della Sapienza: «pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza» (Sap 7,7).

Il rapporto con Dio e la luce della sua parola donano la saggezza necessaria per penetrare gli splendori della creazione e per aprirsi con il giusto discernimento a tutti i saperi e a tutte le idee umane.

Per capire meglio il mondo creato da Dio, San Tommaso non ha avuto timore a studiare Aristotele ed a cercare luce nelle sue opere. Del resto, chi ha un pensiero forte non teme il confronto con la diversità e, generalmente, ne risulta arricchito.

La discriminante sta tutta in quello che ci muove, nel modo con cui ci mettiamo in ascolto, nel sapersi liberare dai preconcetti che ci abitano.

Questo vale anche nei confronti di Gesù e del suo insegnamento. Per questo Gesù stesso ci mette in guardia: «Fate attenzione a quello che ascoltate» (Mc 4,24).

Se l’dea con cui guardiamo a Gesù è sbagliata, tutto quello che si pensa su Gesù è minacciato di errore. Se penso al Messia come re glorioso o come semplice guaritore, vedrò in modo errato la sua persona e non capirò niente di quello che il Signore insegna.

Per evitare gli errori di prospettiva e di interpretazione, mi pare che chiave essenziale sia la dimensione relazionale e sociale della fede.

È certamente vero che Dio, in Cristo, mi ha scelto «prima della creazione del mondo» (cfr Ef 1,4); che Cristo ha dato la sua vita per me e mi ha chiamato.

Pere, è altrettanto vero che Dio non ci ha scelto isolatamente, ma come membro di un popolo, inserito in una comunità. Mi ha chiamato per una missione, per inviarmi a qualcuno.

Per essere luce sopra il moggio, siamo chiamati a seguire Gesù e a seguirlo come lui ci chiede, secondo la forma che lui vuole.

Se ognuno cerca la sua propria salvezza, non la salvezza di tutti, la salvezza del popolo, non sarà mai vero testimone, una lampada che illumina.

Per porre un argine al rischio di privatizzare il mio rapporto col Signore, con una conseguente errata condotta di vita, e per non essere solo formalmente membri del contesto nel quale ci troviamo a vivere e operare – parrocchia, gruppo, comunità religiosa, città – è bene sempre chiedersi se col mio atteggiamento comunico la fede, se sono animatore di speranza, se mi relaziono con carità.

Se in una comunità non si parla e manca il muto-aiuto, se non ci si dà coraggio l’uno con l’altro nella speranza e nella carità, significa che abbiamo privatizzato la fede, sterilizzandola della sua costitutiva dimensione relazionale e comunitaria.

A questo riguardo, la lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato, ci dà indicazioni pratiche preziose: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda» (Eb 10,25).

La testimonianza è elemento fondante della vita del cristiano. Ma la testimonianza presuppone l’essere lampada che diffonde la luce di Cristo, non una lampada che cerca di emanare la propria presunta luce, lasciando tutti nel buio.

Un segno rivelatore che siamo diffusori della luce di Cristo è dato proprio dalle modalità con cui ci relazioniamo con gli altri: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più» (Mc 4,24).

La luce di Cristo viene diffusa da un cuore che non si chiude e non pone limiti. Un cuore animato dallo Spirito Santo, che confida in Cristo e non vacilla nella professione della speranza (cfr Eb 10,23), illumina quanti sono nella casa.

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