Omelia Badia Fiorentina 29 aprile 2021

Santa Caterina da Siena: 1Gv 1,5-2,2   Sal 102   Mt 11,25-30

La comunione con Dio nasce dalla relazione con lui, che ci rende partecipi della sua vita divina e ci fa camminare nella luce, perché «Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (1Gv 1,5).

Luce e tenebre si escludono a vicenda. Chi vive una vera relazione con Dio diventa partecipe della sua luce e diventa egli stesso portatore di luce.

Per questo, l’apostolo Giovanni dice che mentiamo, forse anche a noi stessi, se affermiamo di essere in comunione con Dio, ma con il nostro comportamento, con il nostro rapporto col mondo, non siamo riflesso della luce di Dio.

La comunione con Dio non è un concetto teorico che ci lascia come siamo, ma esperienza reale che ha delle implicazioni concrete e visibili nella vita del credente. La relazione con Dio è sempre trasformante. Trasforma noi stessi e il nostro modo di relazionarci con gli altri. Pertanto trasforma il mondo.

Questo non significa che i credenti non possano avere problemi a relazionarsi tra di loro e con gli altri, ma quando vivono male le relazioni o sfiorano le tenebre, lo Spirito Santo che è in loro li porta umilmente a riconoscere e a confessare il proprio peccato e a recuperare così la comunione con i fratelli e con Dio.

Le relazioni sono vissute male e ci pongono nelle tenebre, quando manca la tensione al bene, la trasparenza e il rispetto per l’altro; quando ci adeguiamo al pensiero prevalente non per convinzione, ma per conformismo, per quieto vivere, per un presunto rispetto nei confronti degli altri o della stessa autorità, civile o ecclesiastica che sia.

Una relazione vissuta bene può anche essere contrassegnata da profonde divergenze e pure dal un certo grado di conflitto, se la propria tensione ideale e le proprie idee sono sostenute con trasparenza e franchezza, come fa Paolo con Pietro: «quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto» (Gal 2,11).

Sostenere con forza le proprie convinzioni, quando sono maturate e vagliate alla «luce del vangelo e dell’esperienza umana» (cfr G.S. 44), significa ricercare una sintesi sempre superiore e costruire comunione, come ha fatto Caterina da Siena, che non ha risparmiato se stessa e neppure gli ammonimenti ai potenti e al papa, per richiamarli alle loro responsabilità.

Quella in cui è vissuta Santa Caterina, il Trecento, era un’epoca particolarmente travagliata per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa.

L’Italia era sconvolta da faide, tra le città e tra le famiglie nobili; il paese era terrorizzato da furiose epidemie, che spesso, in poche settimane, divoravano migliaia di persone.

Il Papa era ad Avignone, sotto l’influsso del Re di Francia. La vita del clero era uno scandalo per molti cristiani, tanto che Santa Caterina ebbe a dire: «Oimè, quello che acquistò Cristo in su il legno della croce, si spende con le meretrici!» (Lettera n. 109).

Per certi aspetti, nel nostro tempo si trovano significative somiglianze.  La crisi in cui da tempo si trova l’Europa; la pandemia che ha mietuto vittime e sconvolto gli assetti sociale ed economici; i laceranti conflitti fra partiti, categorie e formazioni sociali di vario tipo, che di fatto impediscono di disegnare e di osare un diverso futuro. E la vita della Chiesa è colpita da scandali di varia natura ed è travagliata tra resistenze e spinte verso una nuova modalità di essere nel mondo.

Sappiamo bene che quando la miseria è profonda, il Signore suscita persone umili e audaci, che ardono del suo amore e che, unendo contemplazione e servizio, sono capaci di un protagonismo in grado di imprimere una svolta decisiva, come Santa Caterina da Siena.

Caterina, instancabilmente impegnata per il ritorno del Papa a Roma, è stata una combattente coraggiosa e appassionata, che non ha avuto timore a usare anche parole dure. Com’è naturale, assieme a riconoscimenti ha incontrato forti critiche. E sofferenze, come quando, sei anni prima della sua morte, il Capitolo Generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla.

Santa Caterina, come ogni vero innovatore, ha tratto la sua determinazione dalla sua relazione con Cristo, lo sposo con cui avere un rapporto di intimità, di comunione e di fedeltà.

Possiamo considerarla un esempio e un sostegno per tutti coloro che oggi, nonostante incomprensioni, accuse e resistenze, vivono una profonda relazione con Cristo e si mettono in gioco per il rinnovamento della Chiesa, a partire dalla parrocchia e dalle comunità religiose.

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Queste parole con cui inizia il brano del vangelo di oggi, mi paiono particolarmente indicate per Santa Caterina, da semianalfabeta a dottore della Chiesa, ma anche per tutti coloro che anche oggi vivono una profonda intimità con Cristo e si spendono per il rinnovamento della Chiesa e del mondo.

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