Schema Omelia domenica 25 aprile 2021

Quarta Domenica di Pasqua Anno B: At 4,8-12   Sal 117   1Gv 3,1-2

Ogni anno, nella quarta domenica di Pasqua, la Chiesa ci invita a guardare a Gesù, Pastore Buono.

L’immagine di Cristo Buon Pastore ha colpito subito la sensibilità dei primi cristiani. Nelle più antiche rappresentazioni nelle catacombe e nei sarcofagi, infatti, Gesù è ritratto nelle vesti del pastore che porta sulle spalle la pecora ritrovata.

Senza rifarsi alla storia di Israele, inizialmente popolo di pastori nomadi, e al rapporto che veniva e ad instaurarsi tra il pastore e il gregge, basta guardare alla nostra realtà personale e collettiva.

La nostra vita, spesso, assomiglia a quella di pecore che a volte si perdono. Per curiosità o per vincere la monotonia o per la ricerca di una libertà che pensiamo non avere, può capitare di allontanarsi dal gregge, alla ricerca di altri pascoli o semplicemente per fare il nostro cammino sganciati da tutto e da tutti.

La cultura di oggi non favorisce la costruzione di relazione e il senso di appartenenza, ma ci porta ad affermare non solo la nostra autonomia, ma addirittura l’indipendenza e l’autosufficienza, come se potessimo bastare a noi stessi. E l’immagine del gregge ha assunto il simbolo della mancanza di libertà e di autonomia del pensiero.

Benché in questi mesi il gregge sia diventato immagine di speranza per l’immunità dal virus, il concetto di appartenenza ad una stessa comunità è ben altra cosa e stenta a passare.

Più propensi a mostrare le nostre presunte grandezze che a mostrare le nostre ferite, rifiutiamo di riconoscere il nostro bisogno di una relazione in cui qualcuno si prende cura di noi. Così finiamo col rifiutare anche l’idea di un Dio che si fa pastore.

Spesso sembra piacerci più un Dio che chiede sacrifici e sforzi per essere degni di lui, piuttosto che un Dio che viene a cercarci quando ci siamo persi e che si prende cura delle nostre ferite.

Nel nostro cuore, però, permane il desiderio di un ovile che ci accoglie, di qualcuno che si prende cura delle nostre ferite e calmi le nostre paure, di una spalla su cui poter appoggiare la nostra testa, soprattutto quando siamo presi dall’ansia e nei momenti difficili della vita.

Gesù, buon pastore, non solo colma in pienezza il nostro bisogno di cura, ma addirittura «offre la vita per le pecore» (Gv 10,11).

Nella figura di Gesù, pastore buono, noi contempliamo la Provvidenza di Dio, la sua sollecitudine paterna per ciascuno di noi. Non ci lascia da soli.

La conseguenza di questa contemplazione di Gesù Pastore vero e buono, è l’esclamazione di commosso stupore che troviamo nella seconda Lettura dell’odierna liturgia: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre…» (1 Gv 3,1).

Nella vita, non esiste soltanto il gregge, e nemmeno solo il buon Pastore, ma anche il lupo. I lupi, prima o poi, arrivano. Possiamo anche credere di essere forti e agguerriti, ma se puntiamo solo su noi stessi, alla fine qualche lupo ci sbrana.

La sfida dei primi pastori della storia è stata quella di allevare le pecore per ricavarne cibo e indumenti. Ma una loro grande conquista è stata quella di addomesticare i lupi, trasformandoli da feroci predatori in guardiani fedeli delle pecore.

Questo ci dice che quando siamo indifesi di fronte ai lupi, il buon Pastore ci protegge; quando invece siamo lupi che azzannano, il buon Pastore sa come trasformarci in custodi.

L’unico modo per non perdersi, se siamo pecore, e per essere trasformati da predatori in custodi, se siamo lupi, è ascoltare la voce del Pastore.

Nella nostra vita si mescolano molte voci, e rischiamo davvero di perderci. Ma solo La voce del buon Pastore ci indica il cammino della vita.

Più familiarizziamo con la voce del Pastore, ossia con la parola di Dio, tanto più facilmente saremo capaci di riconoscerla, anche quando, trovandosi nel buio, saremo assaliti da voci diverse che ci suggeriscono vie apparentemente attraenti ma mortifere.

In Gesù, dono del Padre, non ci sentiremo mai soli né perduti, perché, come dice Pietro ai capi del popolo e agli anziani: «sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4.12).

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