Santi Marta, Maria e Lazzaro: 1Gv 4,7-16 Sal 33 Gv 11,19-27
La tradizionale incertezza della Chiesa latina, superata solo in tempi recenti, sull’identità di Maria – la Maddalena a cui Cristo apparve dopo la sua resurrezione? la sorella di Marta? la peccatrice a cui il Signore ha rimesso i peccati? – aveva portato a scrivere la sola Marta nel Calendario Romano.
Per iniziativa di Papa Francesco, che il 26 gennaio 2021 ha disposto che il 29 luglio «figuri nel Calendario Romano Generale la memoria dei santi Marta, Maria e Lazzaro», oggi il nostro sguardo, insieme a Marta, abbraccia anche il fratello e la sorella, per raccogliere da ciascuno uno specifico insegnamento.
Nella casa di Betania Gesù ha sperimentato lo spirito di famiglia e l’amicizia di Marta, Maria e Lazzaro, tanto che il vangelo di Giovanni afferma che «Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro» (Gv 11,5).
Lazzaro è segno vivente che la morte non è la parola definitiva, neppure su questa terra: al grido di Gesù, «Lazzaro, vieni fuori» (Gv 11,43), la morte è costretta a lasciare la sua presa. Lazzaro esce dal sepolcro con i segni della sepoltura, «i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario» (Gv 11,44), per riprendere la vita di prima in modo nuovo, perché non più quello di prima. È quello a cui ciascuno di noi è chiamato: convertirsi per vivere in modo rinnovato.
Maria, ponendosi in ascolto contemplativo e adorante di Gesù, «si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41) e ci insegna che la presenza e la parola di Gesù nella nostra vita sono un tesoro prezioso: vengono prima di ogni cosa, perché danno senso all’esistenza e all’agire umano.
Maria vive il suo rapporto con Gesù in modo intenso, gratuito, non formale: «presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento» (cfr Gv 12,2-8). Ascoltando la risposta di Gesù ai rilievi di Giuda – «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura» (Gv 12,7) – potremmo dire che quella di Maria con Gesù è anche una relazione profetica.
Marta ci viene presentata quando, come “signora” della casa, è preoccupata e agitata per i molti servizi (Lc 10,40-41), quando va incontro a Gesù che era giunto a Betania dopo la morte del fratello Lazzaro (Gv 11,21-27) e quando serve a tavola a un banchetto dopo che Gesù ha richiamato alla vita il fratello (Gv 12,2).
Il colloquio di Marta con Gesù narrato da Luca (10,40-42) e quello narrato da Giovanni (Gv 11,21-27), ci forniscono insegnamenti preziosissimi per il nostro cammino in Cristo e per la nostra professione di fede.
Marta si rivolge a Gesù lamentandosi perché la sorella l’ha lasciata sola a servire, chiedendogli di dire a Maria di aiutarla. Una qualche ragione Marta ce l’ha: se il lavoro è condiviso, diventa più leggero e si finisce prima.
Puntare troppo sul servizio, però, può anche essere dispersivo e illusorio (cfr. 1Cor 13,1-3): si possono fare molte e buone cose per Gesù e nel nome di Gesù, e nello stesso tempo dimenticarlo. Come sta succedendo a Marta, il troppo affanno per il servizio può separarci da Gesù e dalla sua parola.
Gesù non critica la laboriosità di Marta, ma rileva che il suo preoccuparsi e agitarsi per le molte cose, mette in secondo piano il motivo per cui sta facendo quelle cose.
L’ospite, che in questo caso è Gesù, non va solo servito e accudito, facendo risplendere l’efficienza del proprio operare, ma va accolto come persona, con la sua storia, i suoi sentimenti, i suoi pensieri. Solo così un ospite può liberamente interagire e sentirsi in famiglia.
Per seguire fedelmente il Signore e svolgere bene i compiti che lui ci assegna, occorre evitare di assecondare quel bisogno interiore che spinge a dare continuamente prova di sé, della propria costanza e della propria bravura. Non si deve dare nessuna prova, neppure a sé stessi. Ma è necessario stare con Gesù e ascoltarlo.
Coltivare il bisogno interiore di dare continuamente prova di sé, porta a quell’efficienza spirituale che fa confondere la fedeltà con la rigidità e che interpreta come egoismo o vanità la doverosa cura di sé stessi e dei talenti che il Signore ha donato. L’efficienza spirituale, basata più sull’umano che sulla docilità allo Spirito, alla lunga prosciuga le energie della vita e, al di là delle intenzioni, di fatto fa diventare periferico Gesù Cristo e la verità del rapporto con lui.
Marta, che certamente avrà custodito nel suo cuore le parole di Gesù, quando gli va incontro dopo la morte e sepoltura del fratello, accoglie le parole del Signore con una professione di fede che esprime l’essenza del cristianesimo: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (Gv 11,27).
Marta, Maria e Lazzaro ci accompagnino con la loro intercessione, affinché la laboriosità, la condivisione e l’amore fraterno siano purificati e fecondati dalla costante relazione col Signore e dall’ascolto della sua parola che rinnova e dona pienezza di vita.