Assunzione della Beata Vergine Maria: Ap 11,19; 12,1-6.10 Sal 44 1Cor 15,20-26 Lc 1,39-56
Nella solennità dell’Epifania del Signore, ogni 6 gennaio, viene annunciata la data della Pasqua, proclamando che «centro di tutto l’Anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua», che «in ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte», che «dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi» e che «anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione di tutti i fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore».
Lo specifico del cristianesimo è proprio la risurrezione di Cristo e la speranza della resurrezione, che si fonda nella certezza che la morte non ha l’ultima parola, perché «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20).
Celebrando l’Assunzione al cielo di Maria, nella sua integralità in anima e corpo, confermiamo la fede nella risurrezione di Cristo e ricordiamo a noi stessi che il nostro cammino sulla terra non è un viaggio senza meta, una navigazione senza porto, ma che è teso alla partecipazione piena alla vita di Dio.
Un antico insegnamento rabbinico dice: «alla fine non mi verrà chiesto perché non sono stato Mosè, ma perché non sono stato io».
Alla fine della vita non ci sarà chiesto perché non siamo stati Maria o Giuseppe o il Battista, ma se abbiamo accolto pienamente la nostra umanità, condizione indispensabile per accogliere la parola che Dio ci rivolge, realizzare la propria vita e portarla a compimento.
L’assunzione al cielo di Maria è il compimento di una vita integralmente consegnata a Dio, di una vita che ha offerto quello che le è stato donato.
Celebrando l’assunzione della persona di Maria affermiamo che la nostra vicenda umana va al di là del tempo e della storia e ribadiamo con forza che la salvezza riguarda la persona intera, in tutte le sue dimensioni.
Quello che noi chiamiamo corpo e quella che noi chiamiamo anima, sono due aspetti dell’unica realtà umana, del nostro essere persona.
Il contrasto che l’apostolo Paolo pone tra carne e spirito, ad esempio, non esprime una contraddizione tra corpo materiale e spirito immateriale, ma due tendenze, due modi diversi e contrapposti di vedere, giudicare e agire.
Ogni espressione del nostro corpo è il riflesso di un movimento dell’anima. Il nostro corpo parla il linguaggio dell’amicizia e dell’amore: una stretta di mano, un sorriso, un abbraccio, una carezza, un bacio. E parla il linguaggio dell’inimicizia e dell’odio e anche quello della fatica, della sofferenza, dell’abbrutimento, della corruzione.
Mentre il corpo di una donna incinta, come quello di Maria e quello di Elisabetta, è un inno alla vita, ci sono corpi assetati, ammalati, violentati, che portano i segni della morte.
Contemplando l’assunzione di Maria vediamo che tutto parte dallo sguardo di Dio su di lei, come lei stessa afferma nel Magnificat, Dio «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,47). Maria ha risposto a questo sguardo affidandosi totalmente. È proprio in questa sua fede che l’evangelista vede la radice e il motivo della lode a lei rivolta da Elisabetta: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45).
Maria viene assunta dal Padre, perché ha accolto la propria umanità, ha risposto alla chiamata di Dio, ha vissuto con sollecitudine il servizio.
Maria non si chiude nei problemi che l’annuncio dell’angelo le crea, anche nel rapporto con Giuseppe, e non si ferma a godere della gioia che questo annuncio le procura. Appresa dall’angelo la notizia del concepimento della cugina, si mette subito in cammino per andare da Elisabetta.
Maria non vive il servizio come gratificazione personale, come può succedere a noi, ma come tempo offerto generosamente e gratuitamente. L’evangelista non dice quello che Maria va a fare da Elisabetta, ma sppiamo che Elisabetta era incinta di sei mesi e Maria aveva appena concepito. Si può anche presupporre che in qualche modi gli sia sta di aiuto. Comunque, quando non c’è più bisogno di lei si fa da parte: rimane con Elisabetta «circa tre mesi» (Lc 1,56), ossia fino al momento del parto. Si può dire: il tempo necessario.
Maria ci insegna che la familiarità con la Parola di Dio permette di leggere la storia alla luce della fede, anche se nell’immediato non sempre appare evidente: «ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote (Lc 1,51-52).
La vita piena si compie accogliendo quello che siamo e consegnando la nostra vita a Cristo. E possiamo consegnarla a lui se ci nutriamo della sua parola e del suo corpo, pane di vita.
In questa solennità, chiediamo a Maria di aiutarci ad affidare la nostra vita al suo Figlio e facciamo risuonare dentro di noi le uniche parole che l’evangelista Giovanni le fa pronunciare, quelle dette ai servitori alle nozze di Cana e che sono preziose anche per noi, nell’oggi della nostra vita: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5).