Venerdì ventiduesima Tempo Ordinario 1: Col 1,15-20 Sal 99 Lc 5,33-39
Nel Vangelo di Luca ci sono solo due testi che parlano di qualcuno che digiuna. Quello che abbiamo ascoltato, riferito al digiuno dei discepoli di Giovanni e di quelli dei farisei (Lc 5,33) e la parabola del fariseo e del pubblicano che vanno a pregare al tempio (Lc 18,12).
Il digiuno era una prassi importante per il giudeo pio e fedele. E Gesù, rispondendo alla constatazione/contestazione dei farisei sul fatto che i suoi discepoli non digiunano, non annulla l’importanza del digiuno, ma introduce un criterio preciso per l’uso di questa pratica: la presenza o l’assenza dello sposo.
La gioia legata alla presenza dello sposo rende impossibile digiunare. Si digiuna quando si sperimenta l’assenza dello sposo.
Questo fa riflettere sul senso delle pratiche del digiuno scandite dal calendario, anziché mosse dal sentire la mancanza dello sposo. E ci mette in guardia dal pensare e dal praticare il digiuno come impegno volontaristico per fortificarsi interiormente.
La pratica del digiuno, se non è vissuta come indicata da Gesù, può rischiare di diventare qualcosa che riempie il nostro io, che porta a mettere al centro noi stessi. La preghiera del fariseo della parabola è un chiaro esempio: il protagonista è lui e solo lui, perché è lui che digiuna due volte ogni settimana.
Il digiuno di cui parla Gesù non si riferisce al volontario impegno della persona, né a un atto di penitenza. È un digiuno che nasce dal sentire la privazione della presenza dello sposo e della gioia che dona la sua presenza.
C’è, dunque, incompatibilità totale tra digiuno e presenza dello sposo, come tra un pezzo di vestito nuovo e un abito vecchio e come tra il vino nuovo e gli otri vecchi.
La tentazione vera nella quale è facile cadere è quella di cercare un aggiustamento, un compromesso tra il nostro vecchio stile di vita e quello nuovo proposto da Gesù. Con il risultato di non godere della novità che ci ha raggiunto in Cristo e di non avere una chiara identità.
Non è possibile seguire Cristo, anche se praticamente si lascia tutto per lui, continuando a vestire una religiosità vecchia, rattoppandola con qualcosa di evangelico.
L’uomo vecchio, con i suoi vecchi schemi religiosi, va deposto per rivestire l’uomo nuovo, lasciandosi rinnovare nel cuore e nella mente dallo spirito (cfr Ef 4,22ss).
L’inno della Lettera ai Colossesi, che abbiamo ascoltato come prima lettura, ci presenta la centralità di Cristo ponendo l’accento sulla sua capacità di creare e ricreare ogni cosa e di renderci accetti al Padre, attraverso la riconciliazione da lui operata nel suo sangue, con la donazione totale di sé stesso per amore.
L’amore, quando è vero, è sempre capace di fare cose nuove, di stravolgere la vita, di riempirla di luce, di colori, di voci di gioia.
Per vincere la staticità dell’apatia e per spazzare dai nostri rapporti il grigiore e i pregiudizi prodotti dal tempo nei confronti di persone e situazioni, abbiamo davvero bisogno della novità dell’amore di Cristo.
Con la forza che viene dallo Spirito di Cristo, abbiamo la possibilità di creare e ricreare, guardando avanti con gioia, investendo nell’amore, facendosi dono come avventura di vita.
Per ogni persona che il Signore ci mette accanto e per ogni vicenda che ci troviamo a vivere, assieme al realismo che dobbiamo sempre assumere senza paura, dovremmo sempre domandarci cosa il Signore ci domanda, dove ci chiama.
L’amore rende doveroso lo sforzo dell’ascolto e per cercare di comprendere le motivazioni degli altri. Motivazioni che possiamo non condividere, che, sempre nel rispetto della persona, possiamo anche osteggiare, ma che non dobbiamo mai rinunciare ad ascoltare e a cercare di capire.
È anche doveroso domandarsi cosa vuole dirci il Signore con una particolare vicenda, con un fratello o una sorella fuori dagli schemi, con una dolorosa incomprensione, con la ferita che ci sono state inflitte e che portiamo addosso….
San Gregorio Magno, di cui oggi celebriamo la memoria, sostenga la nostra preghiera, affinché il Signore ci doni la grazia di abbandonare il vino vecchio delle nostre abitudini, dei nostri pensieri, delle nostre sicurezze, per lasciarsi riempire del vino nuovo della sua Parola e del suo Spirito.