XXIII Domenica Tempo Ordinario Anno B: Is 35,4-7 Sal 145 Gc 2,1-5 Mc 7,31-37
L’invito a non temere, che questa domenica troviamo nel testo del profeta Isaia rivolto «agli smarriti di cuore» (Is 35,4), nella Bibbia viene ribadito oltre cento volte ed è caratteristico degli annunci importanti e delle apparizioni del Signore.
La paura porta a chiudersi. Immobilizza. Paura di non farcela. Paura di fallire. Paura del domani. Paura di non essere adeguati a una certa situazione. Paura che le nostre parole vengano fraintese Paura che qualcuno o qualcosa possa entrare nella nostra vita scombussolando i nostri equilibri, i nostri criteri, le nostre presunte sicurezze, e perfino il nostro modo di vivere le pratiche religiose.
La visione ossessivamente dettagliata delle pratiche religione, che hanno in mente scribi e farisei, tenta proprio, senza riuscirci, di infondere nelle persone la sicurezza della benevolenza di Dio, attraverso l’adempimento preciso di una serie di prescrizioni.
Questa modalità è ingannevole e illusoria. Il rapporto con Dio non si fonda sull’osservanza di norme e precetti, ma sulla gratuità e verità della nostra risposta a quella relazione d’amore che Dio per primo ci propone.
Gesù propone una visione della vita costituita da una relazione completamente nuova con Dio e che trova in Dio stesso origine e fine.
In questo nostro mondo, però, sperimentiamo la difficoltà, addirittura la pesantezza e la falsità delle relazioni: persone che mancano di sincerità, persone che cercano di approfittare della debolezza dell’altro, persone che ti cercano solo quando hanno bisogno, persone che ti voltano le spalle quando ti trovi a vivere una qualunque difficoltà.
Segnati da esperienze brucianti, immersi e soffocati da discorsi che non aiutano e sovraccaricati di immagini e messaggi spesso ripetitivi e strumentali, la tentazione è quella di difendersi chiudendosi.
Chiudersi, però, fa perdere il senso della realtà e ci rende sempre più incapaci di ascoltare e capire. E, alla fine, perdiamo il corretto uso della parola e ogni capacità di relazione.
Si può essere sordi e muti per problemi fisici, ma lo si può anche diventare perché ci si estranea da tutto e tutti, pensando che vivendo nel proprio mondo si possa difendersi se non addirittura salvarsi. E questo avviene anche sul piano religioso.
«Portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano» (Mc 7,32). L’evangelista non dice chi accompagna quest’uomo, ma fa capire che la guarigione è avvenuta perché c’è qualcuno che lo ha accompagnato da Gesù e perché quest’uomo si è fidato e si è fatto accompagnare.
L’accompagnamento nasce dalla vicinanza, dalla condivisione, dall’avere a cuore una persona e dal farsi carico della sua situazione.
L’accompagnamento vero, non si limita a una semplice e impersonale prestazione, ma esige una relazione capace di suscitare vita e di farsi invocazione. Invocazione che può prendere la forma del grido, per farsi voce di chi non ha voce e rendere evidente un problema alla comunità e alle istituzioni competenti. Invocazione, come nel caso presentato dal vangelo, che prende la forma della preghiera e dell’affidamento al Signore.
Da una relazione che genera fiducia, nasce anche la disponibilità a lasciarsi accompagnare, a lasciarsi condurre nella ricerca della risposta al proprio bisogno.
Gesù ascolta l’invocazione e, senza dire una parola, che l’uomo non avrebbe comunque potuto sentire, porta l’uomo in disparte e gli offre una relazione personale e intima, manifestata con gesti che esprimono una prossimità forte, un contatto profondo: mette le sue dita nelle orecchie di quest’uomo e gli tocca la lingua con la sua saliva.
Nel silenzio, mentre Gesù alza gli occhi verso il cielo, quasi a testimoniare che solo una relazione profonda col Padre può generare relazione, risuona una sola parola: «apriti» (Mc 7,34). Anzi, spalancati!
L’invito che Gesù rivolge a quest’uomo è anche l’invito rivolto a noi, come persone e come comunità: apriti alle relazioni, anche se ti hanno deluso; apri il cuore alla vita. Solo la relazione può rompere le muraglie della solitudine e scavalcare le trincee dell’isolamento.
L’evangelista inserisce un dettaglio significativo: quest’uomo non torna semplicemente a parlare, ma parla correttamente. Ossia riesce a comunicare anche sé stesso.
La disponibilità all’ascolto ci inserisce in un intreccio di incontri, di amicizia, di amore; ci fa capire le cose e comprendere i significati. Solo se ci si apre all’ascolto la nostra comunicazione sarà corretta, ossia generatrice di senso e di relazione.
Chiediamo al Signore il dono della disponibilità ad accompagnarci l’un l’altro a lui per essere sanati dalla nostra sordità e così aprirci alla positività della relazione.