Schema Omelia Domenica 12 settembre 2021

XXIV Domenica Tempo Ordinario Anno B: Is 50,5-9   Sal 114   Giac 2,14-18   Mc 8,27-35

«A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere?» (Gc 2,14). L’apostolo Giacomo fa seguire questa sua affermazione con un esempio concreto di opera, inteso come azione nei confronti di chi si trova senza cibo e senza vestito.

La prima opera della fede, però, perché la fede ci sia davvero, è fare nostro il modo di pensare di Dio, lo stile di agire di Gesù, come emerge chiaramente dal brano del vangelo che abbiamo ascoltato

Dopo la risposta di Pietro, «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29), Gesù fa un’affermazione inaspettata: «ordinò severamente loro di non parlare di lui a nessuno» (Mc 8,30).

Gesù aveva fatto la domanda diretta ai suoi, «voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,28), dopo aver verificato che la gente non riusciva ad andare oltre il già noto, né ha porsi seriamente la domanda sulla sua identità.

La novità della sua persona e del suo messaggio non sono stati colti. Giovanni Battista, Elia, uno dei tanti profeti…sono figure con cui Gesù condivide alcuni tratti, ma sono ben altro da lui.

Per esprimere il fermo comando di tacere che Gesù rivolge ai discepoli, l’evangelista utilizza un verbo greco – epitimaó – tante volte usato dallo stesso Gesù per imporre ai demoni il silenzio su di lui (esempio Mc 1,25; Mc 4,39).

I demoni sanno tutto su Gesù, Figlio di Dio: lo definiscono con precisione, ma loro sono privi dell’esperienza di una relazione di amore con lui.

Per questo Gesù, intervenendo con autorità, impone il silenzio agli spiriti maligni che ne proclamano la divinità: la testimonianza su Gesù può venire solo da chi ha vissuto con lui un incontro profondo e ne ha condiviso il cammino, non può uscire dalla bocca di chi sa ma non sperimenta.

La richiesta del silenzio ai suoi discepoli, quindi, pone una questione molto seria, che vale per i discepoli di tutti i tempi: parlare di Cristo solo sulla base di ciò che si sa, o si presume di sapere, senza una condivisione di vita con lui, assomiglia a qualcosa di demoniaco.

Pietro ha detto la verità sull’identità del Salvatore, perché ispirato dall’alto come dice l’evangelista Matteo (cfr 16,17), ma Gesù fa capire che questa verità può essere fatta propria solo attraverso l’esperienza, mediante quella conoscenza che nasce nella relazione esperienziale, che include la via dell’amore.

La conoscenza vera di Gesù come Figlio di Dio, come unico Signore e Salvatore, passa attraverso la condivisione della sua vita e della sua missione.

Illuminanti, a questo proposito, sono le dure parole che Gesù rivolte a Pietro, che lo aveva rimproverato per aver annunciato che doveva soffrire, morire e risorgere (cfr Mac 8,31): «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33).

Come dire: i tuoi pensieri non provengono da Dio, non fanno parte del mondo di Dio, ma del mondo degli uomini; le tue idee non sono di Dio, ma sono rimaste imprigionate nel modo umano di pensare.

Nella sostanza, Gesù accusa Pietro di pensare come coloro dai quali sarà rifiutato e crocifisso.

Per questo Gesù ha impedito ai suoi di parlare troppo presto di lui, perché avrebbero potuto indurre gli altri in tentazione, annunciando un Cristo falso, diverso da quello che è in realtà.

Il divieto di Gesù ai suoi, vale anche per noi. Parlare di Cristo senza una vera condivisione con lui, senza un «dono sincero di sé» (GS 24,4), significa proclamare una formula astratta, senza vita, anche se vera.

Gesù non ci dice andate per le strade a dire chi sono, ma ci chiede, come a Pietro, di metterci dietro a lui, per seguirne le orme, per condividere con lui fino in fondo la nostra esperienza di vita.

L’opera della fede non è quella di annunciare una verità che non ci appartiene, ma quella di condividere con Gesù la mostra esperienza di vita, affinché cambi il nostro cuore e possa «davvero illuminare gli occhi della vostra mente» (Ef 1,18).

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