Prima Domenica di Avvento Anno C: Ger 33,14-16 Sal 24 1Ts 3,12-4,2 Lc 21,25-28.34-36
La venuta del Signore, di cui parla il vangelo di questa prima domenica di Avvento, ci dice che la fede, nella sua essenza, è un incontro col Dio che si è fatto uomo e un sì al suo amore che fonda, sostiene e muove il nostro amore.
Per questo, la liturgia, ci sollecita ad aprire il cuore al Signore Gesù, venuto nella carne, che verrà nella gloria e che ogni giorno bussa alla porta della nostra vita.
In tutto il periodo dell’Avvento risuona costante l’invito ad alzare lo sguardo, a rompere con un modo di vivere mediocre e abitudinario e a porci concretamente la domanda su come, per chi o per cosa spendiamo la nostra vita.
Se è sempre necessario coltivare relazioni vere, alzare lo sguardo e porsi domande serie, diviene addirittura indispensabile farlo in un questo tempo, caratterizzato da grandi difficoltà, da diffusa incertezza, da proposte e da stili di vita che di fatto snaturano il senso cristiano della persona e della comunità e della storia.
Non basta conoscere l’a,b,c della dottrina, seguire alcune norme morali e partecipare alle celebrazioni, per evitare di lasciarsi assorbire dal conformismo dilagante e rischiare di perdere, se non l’avessimo già perduta, l’essenza della specificità cristiana.
Non si può ignorare che la mancanza di un pensiero pensante e di una attenta coscienza critica, illuminata e nutrita dal vangelo, ci abbia portato, nella pratica quotidiana, ad annacquare e pepotenziare la nostra vita di fede, per uniformarci a visioni che anestetizzano la spiritualità e la trascendenza dal nostro spazio interiore e che veicolano criteri di giudizio e priorità di vita che tutto aiutano meno che la crescita umana e relazionale di persone e comunità.
Basta pensare alla sempre maggiore audience di certe liturgie comunicative, come quelle sociali e politiche basate sull’immediatezza del consenso, anziché sulla qualità della proposta, o come quelle che in questi giorni pubblicizzano il black Friday, divenuto “festa di precetto”, se non addirittura solennità, nel culto dell’universale religione del consumo. Consumo per il consumo. Indipendentemente dall’utilità, dalla qualità e dall’impatto sociale e ambientale dei prodotti venduti e acquistati.
Se vogliamo veramente salvarci, non solo quando il Signore verrà, ma anche dall’espropriazione di noi stessi nell’oggi della vita, va preso urgentemente sul serio il monito di Gesù, che il vangelo di oggi ci ripropone: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso. […] Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,34.36).
I nostri cuori, forse, non sono appesantiti per le ubriachezze da vino, ma certamente possono esserlo dalle dissipazioni e dagli affanni della vita. Non i normali affanni della vita, ma quelli che ci procuriamo a causa della visione egocentrica di noi stessi, di ritmi convulsi, di affetti vissuti senza il coraggio di mettersi in gioco, di paure ingigantite da schemi e visioni parziali e strumentali…
Il modo come viviamo il nostro rapporto con le persone e con le cose, così come quello con cui viviamo i momenti bui, di confusione e di sconvolgimento, dice chi siamo. Dice quale relazione abbiamo con Gesù e coi fratelli e rivela quanto ci fidiamo di colui che professiamo nella fede come Signore e che ci chiede di non rimanere chiusi nei nostri piccoli orizzonti: «risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28).
Il salto di qualità di cui abbiamo bisogno, può essere fatto cercando di vivere quello che Paolo scrive ai Tessalonicesi: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti» (1 Ts 3,12). Non solo “fra noi” (i familiari, gli amici, gli italiani, i cristiani, i praticanti, il proprio gruppo…), ma “verso tutti”, com’è universale l’amore di Gesù.
Ma può anche essere fatto partendo dalle esigenze di giustizia di cui parla Geremia nella prima lettura, annunciando la realizzazione delle «promesse di bene» fatte dal Signore (Ger 33,14-15). Se il germoglio giusto è Gesù, le promesse di bene fatte dal Signore si realizzano proprio nella giustizia.
La giustizia biblica, infatti, è intesa come conformità al volere di Dio, che vuole la realizzazione piena di ogni persona e l’umanizzazione piena delle relazioni sociali.
Per accogliere il Signore che viene e vivere una relazione vera con lui, aperti alla novità che la sua venuta porta nella vita e nella storia, è necessario nutrirsi costantemente della sua parola.
Pregare. Vegliare su noi stessi illuminati e guidati dalla parola. Rispondere all’amore di Dio con l’amore per i fratelli. È questo il segreto per vivere l’incontro col Signore, non come «come un laccio» (cfr Lc 21,35) che si abbatte su di noi, bensì come liberazione (cfr Lc 21,28) e compimento.