Omelia Badia Fiorentina 15 dicembre 2021

Mercoledì Terza Settimana di Avvento: Is 45,6-8.18.21-25   Sal 84   Lc 7,19-23

A dieci giorni dal Natale del Signore, per rendere fruttuosa la nostra attesa, la liturgia, facendoci meditare sulla crisi del Battista, fa entrare nella nostra attesa anche il dubbio, affinché ci interroghiamo sulle nostre reali aspettative.

Giovanni, che non ha avuto timore a pronunciare parole di fuoco per invitare il popolo alla conversione e che non ha esitato a rimproverare a Erode il suo peccato, adesso si ritrova con il dubbio sull’identità di Gesù, che pure ha indicato al popolo come il Messia.

La crisi nasce perché quello che Giovanni sente dire di Gesù è lontano dalle caratteristiche del Messia che lui aspettava e che aveva descritto con la sua predicazione.

Giovanni aveva annunciato un Messia potente che avrebbe battezzato «in Spirito santo e fuoco» (Lc 3,16), un giudice inflessibile che avrebbe raccolto il frumento e bruciato la paglia (cfr Lc 3,17).

I gesti e le parole di Gesù sono molto diversi: parla ai poveri, s’interessa dei malati, interloquisce con i pubblicani e le prostitute.

La missione di Gesù, inoltre, non cammina per i sentieri della luce e della gloria, come tutti si aspettavano, ma su quelli dell’umiltà e del nascondimento.

E allora Giovanni, prigioniero a Macheronte, compie un ultimo tentativo: per capire se sia davvero sbagliato, manda i suoi discepoli direttamente da Gesù con una domanda precisa: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Lc 7,19).

Le crisi, come quella nella quale si trova il Giovanni Battista, sono salutari: aiutano a purificare le nostre aspettative, a rinnovare le nostre visioni sempre troppo umanamente piccole, a conoscere sempre più e sempre meglio Cristo e il suo vangelo.

È però necessario il coraggio di affrontare il dubbio e di lasciarsi illuminare direttamente dalla parola che salva.

Alla domanda posta dai due discepoli di Giovanni, Gesù non si affida a segni di natura strettamente religiosa, non risponde con le parole, cercando di convincere attraverso una serie di argomentazioni, ma presenta dei fatti: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella» (Lc 7,22).

Dio non viene secondo le nostre attese. L’immagine di Dio che Gesù rivela non corrisponde a quello che attendeva Israele, ma neppure a quello che normalmente pensiamo noi, che pure siamo figli di una storia che si dice cristiana.

A certe crisi e a certe domande, non si risponde con accurate analisi e con elaborati ragionamenti, ma spalancando gli occhi, il cuore e la mente su ciò che il Signore opera nella concretezza della nostra vita personale e collettiva.

Molte cose che ci fanno male e che rendono pesante il nostro cuore, vengono da visioni religiose ingessate e da pensieri che umanamente sono così logici da non lasciare possibilità e spazio a visioni e percorsi diversi. Ma Dio smentisce coi fatti anche le nostre convinzioni religiose e le nostre ferree logiche.

Nella risposta di Gesù ai discepoli di Giovanni, possiamo riconoscere il timbro delle voci dei profeti, in cui risuona il desiderio di Dio di essere riconosciuto e amato da tutte le sue creature: «Io sono il Signore, non ce n’è altri. Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c’è altro dio; un dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me» (Is 45,21).

Le parole di Gesù, con cui Luca conclude il brano che abbiamo ascoltato, però, ci costringono a fare un passo ulteriore. Ci portano a riflettere sul fatto che non è sufficiente vedere le opere di Dio e ascoltare la buona notizia della sua venuta.

Per diventare discepoli del Regno c’è bisogno di una disponibilità e di una visione nuova: «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo» (Lc 7,23).

La voce di Isaia, ascoltata nella prima lettura, ci educa a vedere nel Natale del Signore l’abbassamento dei cieli, ma anche l’insurrezione della terra: «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia» (Is 45,8).

L’incarnazione non rappresenta un’improvvisa trasformazione del mondo, ma apre la sua trasfigurazione nell’amore, dove le cose cambiano solo attraverso piccoli e grandi gesti di giustizia, di comunione e di carità.

Dio Padre ci doni un cuore colmo della speranza che ha animato i profeti, una mente che si lascia illuminare dalla luce del Verbo che si fa carne, uno sguardo capace di vedere nel Cristo che viene il suo vero volto e di vedere nel volto dell’uomo quello di Cristo.

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