III Domenica di Avvento Anno C: Mi 5,1-4 Sal 79 Eb 10,5-10 Lc 1,39-45
Maria, raggiunta e trasformata dalla grazia, «si alzò e andò in fretta» (Lc 1,39) per far visita a Elisabetta, certamente spinta dal desiderio di condividere con lei quello che entrambe stanno vivendo.
Dio sta lavorando nella loro vita: pur in modo diverso, stanno vivendo la medesima esperienza di un Dio amoroso che ha reso fecondo il loro grembo.
Elisabetta ci viene presentata da Luca come donna che ascolta in maniera attiva, pienamente presente a chi le sta parlando. Una donna che si interroga su quello che sta avvenendo e su quello che sente dentro sé stessa.
Il semplice saluto di Maria (Lc 1,40), fa sussultare il bambino che Elisabetta porta nel grembo (Lc 1,41) e fa sì che la stessa Elisabetta venga colmata di Spirito Santo, rendendola capace di interpretare i segni della presenza di Dio in Maria.
Elisabetta non chiama mai per nome Maria, ma si rivolge a lei mettendola in relazione a Dio e parlando di quello che in lei Dio ha operato.
Anzitutto la chiama «benedetta» (Lc 1,42). Nella bibbia, la benedizione è sempre legata al dono della vita. Dio benedice donando la vita e custodendola con la sua Parola efficace e creatrice.
Poi la chiama «madre del mio Signore» (Lc 1,43). Maria non è più solo una donna, non ha più solo il suo nome. L’identità di Maria, ora, è quella di essere madre. Non una madre qualsiasi, ma la madre del Signore. Elisabetta, dunque, è la prima a far risuonare nel vangelo la parola “kyrios”, Signore, il titolo che è proprio del Risorto.
Per Elisabetta, Maria, non è solo madre del Signore, ma la madre del suo Signore: madre di quel Dio che le ha usato benevolenza e che salva anche lei.
Poi ancora la definisce «colei che ha creduto» (Lc 1,45). L’opera di Dio è benedire e salvare; l’opera dell’uomo è credere in Dio, che benedice e che salva. Quando c’è questa corrispondenza, la persona è beata, vive in pienezza la propria umanità.
Maria è esattamente questo, una donna nuova che si è fidata e ha creduto che l’opera di Dio in lei era una benedizione, era vita per l’umanità intera.
Per l’evangelista Luca, la prima beatitudine viene proclamata per bocca di una donna, Elisabetta, che nella sua vecchiaia diventa segno della totale possibilità di Dio di agire nella storia (cfr. Lc 1, 37): «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 45).
L’eco di questa beatitudine l’ascolteremo spesso nella predicazione di Gesù. Quando, ad esempio, rivolgendosi ai suoi discepoli, e a noi, dirà «beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11, 28).
La condizione di beatitudine, di benedizione e di fecondità, è propria di chi ascolta la Parola, la accoglie, apre la porta della propria casa e la lascia entrare.
È il medesimo annuncio che ci viene rivolto dal Libro dell’Apocalisse e promette la comunione con Dio: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).
Elisabetta proclama che la prima e vera beatitudine nasce dall’ascolto e dal consegnare sé stessi al Signore, perché si adempia in noi la sua parola come avvenuto in Maria e come la lettera agli Ebrei dice dello stesso Gesù: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato….Ecco, io vengo…per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,6-7).
Il figlio che si trova nel grembo di Elisabetta, inceve, ci insegna il modo più semplice, più vero, più spontaneo e più fruttuoso con cui accogliere il Signore che viene: sussultare di gioia.
In questi giorni che ci separano dal Natale, soffermiamoci davanti al presepio con la mangiatoia vuota in attesa che il bambino nasca. Al momento non lo vediamo, ma sappiamo che c’è. Questo può avvenire anche nella nostra vita, quando il Signore sembra non esserci, pur essendoci.
Come Elisabetta non ha visto Gesù, ma ha sentito gli effetti della sua presenza nascosta nel grembo di Maria, chiediamo al Signore che rafforzi la nostra fede e che ci colmi del suo Spirito, affinché possiamo anche noi riconoscerlo e accoglierlo, e benedire chi lo ha accolto e ci permette di incontrarlo.
Nel bambino Gesù vediamo Dio che si fa uomo per farsi nostro prossimo ed avere una relazione vera con ciascuno di noi. Una relazione che trasforma e ci va voltare pagina mettendoci in movimento mossi dall’amore, accolto e che si dona.