Messa della Notte – 24 dicembre 2021: Is 9,1-6 Sal 95 Tt 2,11-14 Lc 2,1-14
La profezia di Isaia e la narrazione della nascita di Gesù che abbiamo appena ascoltato, illuminano la notte dei pastori, ma anche la notte di questo nostro mondo.
Alla difficile e iniqua situazione sociale ed economica nella quale già ci trovavamo, il sopraggiungere della pandemia, con le ferite anche mortali che ha prodotto e sta ancora producendo, ha contribuito ad accentuare le contraddizioni e ad amplificare antiche debolezze strutturali.
Con la pandemia è apparso chiaro che siamo tutti connessi e che siamo responsabili gli uni degli altri, ma non sembra che questo abbia di fatto influito sul nostro vivere, tanto che «alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati e altri la affrontano con violenza distruttiva» (F.T, 231).
Con la pandemia si sono moltiplicate le incertezze e le angosce, le disuguaglianze e le incomprensioni, le divisioni e i conflitti.
Ma in questa complessa e delicata fase della nostra storia, come nella notte a Betlemme è nata la speranza, possono nascere cose nuove e si può disegnare un mondo diverso e più equo e più umano.
Non voglio fare diagnosi, immaginare scenari futuri, dipingere a tinte più o meno scure la situazione attuale. Non è mio compito e comunque molti lo fanno e lo possono fare meglio di me.
In questa notte di grazia, che stiamo vivendo qui, adesso, voglio farmi eco della profezia che abbiamo ascoltato, «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1), e unire le mie parole a quelle degli angeli, per ricordare a me stesso e a voi che è nato per noi «un Salvatore, che è Cristo Signore.» (Lc 2,11).
Questa è la nostra certezza. La certezza che in Cristo e con Cristo, la notte, qualunque notte, non è l’ultima parola sulla storia personale e sulla storia dell’umanità.
Il cristiano sa bene che al fondo delle nostre crisi, dentro le nostre oscurità, in mezzo alle nostre debolezze è nato un bambino che è un Dio potente e che con lui è cominciata una nuova storia di fiducia e di speranza, di rinascita e di risurrezione.
Questo pomeriggio ho avuto il privilegio di partecipare all’incontro che il cardinale Giuseppe Betori ha avuto con i lavoratori della ex GKN, oggi QF spa. Sono stato particolarmente colpito dalla testimonianza di una donna che ha detto che quando era entrata a lavorare in quella fabbrica – unica donna – non si era sentita accolta, ma che dopo il 9 luglio – data dei licenziamenti annunciati – ha pulito i bagni con tanto amore per i msuoi compagni di lavoro, perché, nel difficile clima venutosi a creare, si è sentita accolta. E un uomo, successivamente, ha detto che dopo 25 anni che lavorava in quel luogo, ha iniziato a sentirsi comunità con ni suoi campagni di lavoro, proprio grazie a questa difficile prova.
Bastano queste testimonianze per dimostrare non è semplice e poetica astrazione, ma realtà della vita toccata dalla grazia di Cristo, affermare che anche nelle nostre notti, come a Betlemme, può brillare una luce e che la notte può divenire luogo di una nuova e possibile rinascita.
Credere che la vita divina che Cristo ci portato in dono trasforma la morte in vita, il dolore in speranza, non significa negare irragionevolmente le pesantezze, le contraddizioni e le ferite della realtà, ma significa attingere a questa grazia per acquisire uno sguardo nuovo e profondo, capace di farci scorgere anche nel dolore i segni e le possibilità di una nuova nascita.
Credere è continuare a camminare e anche lottare, non con la tenacia di chi non si arrende, ma con la fiducia di chi sa di avere una meta raggiungibile perché questa meta è una persona, Gesù Cristo, e che ci è venuta incontro.
Gesù Cristo, che oggi contempliamo bambino, ha percorso le nostre strade, ha pianto le nostre lacrime, ha condiviso le nostre gioie, per testimoniare che non c’è salvezza al di fuori dell’amore dato e ricevuto.
Nell’incertezza del vivere, sentiamo di aver bisogno di una luce, di una parola che illumini e sostenga il nostro cammino. La “Parola” che si è fatta carne (cfr Gv 1,14) già abita nel nostro cuore e desidera di essere scoperta nel suo significato più profondo. È una parola che sostiene la nostra irriducibile unicità e che ci spinge a cercare quale posto abbiamo nel mondo.
L’incarnazione della “Parola” segna l’inizio di una storia nuova, di cui possiamo e dobbiamo essere i protagonisti.
Sperare nella grazia di Cristo fa trovare le ragioni per impegnarsi a costruire equilibri e paradigmi sempre nuovi, per rendere più umano questo nostro mondo.
«È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). Sulla scena di questo mondo non agisce solo il male, la sofferenza e la morte. La grazia agisce nelle menti e nei cuori, insegna vie nuove di giustizia e di pace, di speranza e di vita.
Gesù Salvatore, che oggi è nato, faccia rinascere anche noi alla consapevolezza che siamo tutti figli, e perciò tutti fratelli, e che l’amore è l’unica vera via di salvezza.