Omelia Badia Fiorentina 29 dicembre 2021

V giorno fra l’Ottava di Natale: 1Gv 2,3-11   Sal 95   Lc 2,22-35

Nell’ottava di Natale, la liturgia ci fa meditare sulla mitezza e sulla fedele attesa dell’anziano Simeone, al quale «Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore» (Lc 2,26). La sua tenace attesa viene ripagata oltre ogni previsione: non solo vede il salvatore e ha la possibilità di accoglierlo «fra le braccia» (Lc 2,28).

Tutta la nostra esistenza, consapevolmente o meno, è attesa di Cristo, perché è ricerca del senso della vita, per rendere ogni giorno degno di essere vissuto con dignità e speranza, in un continuo cammino alla scoperta del mistero che anima e trasfigura tutte le cose.

In questo cammino sperimentiamo entusiasmi e chiusure, slanci e cadute, egoismi e atti di amore: tutto ci aiuta a comprendere chi siamo, a svelare i nostri pensieri più nascosti e a scoprire, a patto che il nostro cuore voglia vedere, che la misericordia di Dio e il suo amore sono più potenti di ogni nostra resistenza.

È però necessario, come ha fatto il vecchio Simeone, mantenere un cuore giovane, che palpita di un’attesa viva, senza soccombere alla rassegnazione, nonostante il passare del tempo.

Nel corso della vita, anche al di là e al di fuori del cammino di fede, ci troviamo spesso a sperimentare la verità di Cristo e del suo vangelo: dalla croce fiorisce una nuova vita; dalla prova nascono nuove e feconde modalità e stili di vita; dalla sofferenza si può risorgere se sappiamo affrontarla con aderenza alla realtà e con l’obbedienza dell’amore.

Questa verità, nella sua essenza, è emersa anche da alcune testimonianze che, nel pomeriggio della vigilia di Natale, ho potuto ascoltare in un ambito extra ecclesiale e senza nessun riferimento a Cristo, accompagnando il cardinale Giuseppe Betori a un incontro con i lavoratori della ex GKN, oggi QF spa.

L’unica donna che lavora in quella fabbrica, ad esempio, ha iniziato il suo intervento dicendo che, dalla sua esperienza, le venivano in mente tre parole: amare, servire, accogliere. Ha raccontato di non essersi mai sentita accolta, ma che dopo il 9 luglio – data dell’annuncio dei licenziamenti – ha pulito i bagni con tanto amore per i suoi compagni, perché la situazione venutasi a creare ha unito tutti e si è sentita accolta.

Amare è comandamento antico (cfr Lev 19,18; 1Gv 2,7), che possiamo cogliere ed esprimere proprio quando viviamo l’accoglienza e il servizio, anche senza un diretto riferimento a Gesù Cristo.

Come abbiamo ascoltato da Giovanni nella prima lettura, però, l’amore diviene comandamento nuovo (1Gv 2,8) ed assume una peculiare intensità, quando trova la sua origine e il suo fondamento in Cristo e nella fede in lui, solo quando si nutre della sua parola e viene vissuto nell’obbedienza a questa parola.

La fede in Cristo, non è qualcosa di intimo e individuale, ma rende visibile l’invisibilità di Dio. Una visibilità resa possibile dall’amore che unisce fede e opere. La proclamazione di fede e la vita quotidiana, in qualche modo devono andare insieme.

Se abbiamo conosciuto Dio, ovvero se abbiamo una relazione con Dio in Cristo, obbediamo alla sua voce e osserviamo i suoi comandamenti (cfr 1Gv 2,3).

Vivere in Cristo e di Cristo, grazie all’azione dello Spirito Santo, rende la nostra vita sempre più somigliante alla sua: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1Gv 2,6).

La persona che incontra Cristo diventa una nuova creatura, capace di lasciare che l’amore di Dio fluisca in lei e si espanda attraverso di lei.

La presenza di questo amore si manifesta nel modo con cui si sta nel mondo; nel modo con cui sappiamo farsi vicini e sappiamo stare acconto agli altri. La presenza dell’amore di Dio in noi si manifesta nel prenderci cura degli altri, del mondo, del creato. Si manifesta nel nostro “essere-con”.

«Chi ama suo fratello, rimane nella luce» (1Gv 2, 10), giacché, come afferma Benedetto XVI nella Deus caritas est, «Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e come Egli mi ama» (18).

L’accoglienza e il servizio, anche se nascosti nelle pieghe del quotidiano, rendono feconda la nostra fede e piena di sapore la nostra vita e ci rendono attivamente partecipi dell’amore di Dio per l’umanità.

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