Omelia Badia Fiorentina 5 gennaio 2022

Feria propria: 1Gv 3,11-21   Sal 99   Gv 1,43-51

«Vieni e vedi» (Gv 1,46). Vieni dove e a vedere chi o che cosa?

Quando invitiamo qualcuno, anche come cristiani, normalmente lo facciamo per qualcosa di specifico, anche utile e necessario, a cui noi stessi dedichiamo del tempo e che forse ci entusiasma.

Vieni a distribuire pacchi alle famiglie bisognose. Vieni a fare la cucina per questo evento. Vieni all’oratorio per seguire i ragazzi. Vieni a partecipare a questo ritiro. Vieni a fare il catechismo. Vieni a fare un turno di adorazione. Vieni a cantare nel coro…

Generalmente il nostro è un “vieni a fare”, ben diverso dal «Venite e vedrete» (Gv 1,39) di Gesù a Andrea e all’altro discepolo di Giovanni che lo hanno seguito domandagli «dove dimori?» (Gv 1,39), che la liturgia ci ha presentato ieri. Ed è pure ben diverso dal «vieni e vedi» (Gv 1,46) di Filippo a Natanaele, che abbiamo ascoltato oggi nel vangelo.

L’invito di Filippo all’amico Natanaele, nasce dalla gioia incontenibile scaturita in lui dall’incontro personale con Gesù (Gv 1,43): «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret» (1,45).

Come i primi discepoli, nel corso dei secoli, il vangelo è stato annunciato con entusiasmo da persone che hanno incontrato Cristo e che lo hanno raccontato come l’incontro straordinario e significativo per la loro vita.

Giovanni Battista, indicando Gesù come l’agnello di Dio, mette in cammino due suoi discepoli (Gv 1,37). Uno di questi, Andrea, ha poi coinvolto Simone suo fratello (Gv 1,41). E Filippo, chiamato direttamente da Gesù, trascina Natanaèle (Gv 1,45), come abbiamo appena ascoltato.

Nonostante lo scettiscismo iniziale, «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46), Natanaele, incontrando Gesù, si sente conosciuto da lui.

Dio ci conosce meglio di quanto ciascuno conosce sé stesso: «Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3,20).

Il messaggio della vita nuova ricevuto fin dal «principio» (1Gv 3,11), di cui parla Giovanni nella sua lettera, nasce proprio dall’incontro con Cristo e si irradia attraverso un atteggiamento talmente semplice da essere, molto spesso, disatteso: consegnare sé stessi, comunicando l’esperienza dell’incontro con Cristo, che ha afferrato le profondità del nostro cuore.

La rigenerazione derivante dalla Pasqua, che ci fa sperimentare la grandezza, la ricchezza e la fecondità dell’amore, non può essere ridotta al pur importante non fare il male, al solo e necessario evitare di vivere «come Caino, che era dal Maligno e uccise suo fratello» (1Gv 3,12).

La Pasqua di Cristo, vissuta come nutrimento ed esperienza dalla quale zampilla quell’amore che fa percepire in modo nuovo noi stessi e le relazioni con gli altri, trasforma la vita e cambia segno a tutto quello che facciamo.

È la carità fraterna l’espressione concreta che dimostra che l’incontro con Cristo risorto è stato così profondo da cambiare la vita: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14).

L’esperienza di Cristo ci impegna a superare le varie forme che aumentano o mantengono il divario tra quello che si afferma con le labbra e quanto si pratica con la vita, per non rimanere nelle tenebre e nella morte: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18).

Vivere l’amore nella concretezza della vita, vuole anche dire ricominciare dopo ogni deviazione o caduta, partendo dalla Pasqua di Cristo e prestando attenzione alla realtà che sempre parla, provoca domanda una nostra risposta.

Prestare attenzione ci fa riconoscere che quel che accade è un segno che interpella. Particolarmente ci interpellano le persone che il Signore ci ha messo accanto, in famiglia, in comunità, sul lavoro.

L’attenzione per le persone, anche se hanno sensibilità e modalità diverse e a volte risultano insopportabili, è seme e frutto di quell’amore che il Signore riversa su di noi.

Non è detto che la nostra attenzione agli altri sia sempre segno che stiamo vivendo una forte esperienza di Cristo, ma la mancanza di questa attenzione ci deve porre seri interrogativi sulla verità con cui, nell’oggi della vita, viviamo la nostra relazione con Cristo.

La mancanza di attenzione agli altri e alla concretezza delle situazioni, è comunque segno che difficilmente siamo nelle condizioni di comunicare un’esperienza forte e poter dire a qualcuno, con credibilità e con frutto: «vieni e vedi».

div#stuning-header .dfd-stuning-header-bg-container {background-color: #595959;background-size: cover;background-position: center center;background-attachment: scroll;background-repeat: no-repeat;}#stuning-header div.page-title-inner {min-height: 550px;}#main-content .dfd-content-wrap {margin: 0px;} #main-content .dfd-content-wrap > article {padding: 0px;}@media only screen and (min-width: 1101px) {#layout.dfd-portfolio-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars,#layout.dfd-gallery-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars {padding: 0 0px;}#layout.dfd-portfolio-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars > #main-content > .dfd-content-wrap:first-child,#layout.dfd-gallery-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars > #main-content > .dfd-content-wrap:first-child {border-top: 0px solid transparent; border-bottom: 0px solid transparent;}#layout.dfd-portfolio-loop > .row.full-width #right-sidebar,#layout.dfd-gallery-loop > .row.full-width #right-sidebar {padding-top: 0px;padding-bottom: 0px;}#layout.dfd-portfolio-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars .sort-panel,#layout.dfd-gallery-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars .sort-panel {margin-left: -0px;margin-right: -0px;}}#layout .dfd-content-wrap.layout-side-image,#layout > .row.full-width .dfd-content-wrap.layout-side-image {margin-left: 0;margin-right: 0;}