V Domenica Tempo Ordinario Anno C: Is 6,1-2.3-8 Sal 137 1Cor 15,1-11 Lc 5,1-11
Il brano del vangelo di questa domenica ci presenta la sconvolgente esperienza vissuta da Pietro sul lago di Gennèsaret. Un’esperienza che lo porta a sentire tutta la sua indegnità, «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8), e a cambiare radicalmente la sua vita, rispondendo alla chiamata di Gesù ad essere pescatore di uomini (Lc 5,10).
Sconvolgente è anche l’esperienza vissuta da Isaia. La percezione della propria piccolezza e della propria impurità non è un impedimento alla possibilità di vedere il Signore (cfr Is 6,1-7). Dio è più grande di ogni nostro limite e di ogni nostro peccato: vederlo è un’esperienza che purifica e rende disponibili alla missione: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8).
Sconvolgente è pure l’esperienza a cui fa riferimento Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: Cristo risorto «apparve anche a me come a un aborto» (1 Cor 15,8). L’esperienza fatta sulla via di Damasco lo ha trasformato radicalmente, rendendolo un appassionato testimone della risurrezione: «Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1 Cor 15,3).
Tre esperienze che segnano l’inizio di una straordinaria vicenda personale e che cambiano il volto della comunità credente e la storia dell’umanità. Tre esperienze che ci obbligano a porci una domanda cruciale: abbiamo coscienza di qual è l’esperienza che ha caratterizzato l’inizio del nostro essere cristiani, che ha segnato tutto il nostro percorso di fede e di vita?
Quello che ha cambiato la vita di Isaia, di Pietro e di Paolo, e che rappresenta l’inizio di un nuovo percorso personale e comunitario, consiste nell’aver sperimentato la gratuità dell’amore di Dio. Specificatamente, Pietro e Paolo si sono sentiti afferrati dall’amore di Cristo.
Tutti abbiamo bisogno di ricordarci gli inizi dei nostri percorsi, per rimettere a fuoco le nostre rotte e dare consistenza alle nostre speranze.
In ogni storia d’amore fa bene ogni tanto ricordare come tutto ebbe inizio, per ritrovare la strada forse perduta o seppellita dall’abitudine.
La questione seria nasce se manca la consapevolezza dell’inizio, se non abbiamo coscienza di un momento particolare o di un’esperienza specifica che ha segnato la nostra vita e la nostra relazione con Cristo.
Se manca questa consapevolezza e se non abbiamo fatto un’esperienza particolare di Cristo, dobbiamo ripartire, se non addirittura partire, da capo.
Pur partecipando alla liturgia e facendo la professione di fede in Dio Padre nel Figlio e nello Spirito Santo, senza ripartire da capo non avremo mai lo sguardo capace di vedere i segni della presenza di Dio nella nostra vita, la chiave per leggere le sue orme nelle pieghe della nostra quotidianità.
Come hanno fatto coloro che sarebbero poi diventati suoi discepoli, parlandogli della malattia della suocera di Pietro, possiamo partire accogliendo Gesù in casa nostra e parlandogli delle difficoltà e delle sofferenze di coloro che ci stanno a cuore.
Possiamo partire con maggiore determinazione facendo salire Gesù sulla barca della nostra vita, fatta dal nostro lavoro, dalla nostra famiglia, dalle cose che si possiedono, ma anche dal fisico, dall’intelligenza, dai talenti, dalle esperienze, che ci rendono unici. È con questa barca che affrontiamo la vita e ci mettiamo in relazione, comunicando quello che siamo.
Solo l’accoglienza e la frequentazione di Gesù ci può portare ad ascoltare e a seguire la sua parola, anche quando appare fuori da ogni logica ed esperienza umana.
Succede sempre così: Gesù si lascia conoscere, opera nella nostra vita, e poi ci chiede di camminare con lui in una relazione sempre più profonda, anche andando oltre l’umana ragionevolezza, come ha fatto Pietro gettando le reti in pieno giorno, pur non avendo preso niente nella notte.
Nella relazione con Cristo, singolarità e pluralità sono inscindibili. Siamo coinvolti personalmente ma mai isolatamente.
Per questo il racconto di Luca passa continuamente dal singolare al plurale. Gesù si rivolge a Simone, ma la pesca chiama in causa tutti: «Prendi il largo e gettate le reti» (Lc 5,4). Stessa cosa nella risposta di Simone: «abbiamo faticato tutta la notte ma sulle tue parole getterò le reti» (Lc 5,5). Così anche alla fine. Gesù dice a Pietro: «sarai pescatore di uomini»; ma è tutto il gruppo che viene coinvolto: «lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11).
Quel che vale per Isaia, per Pietro e per Paolo, vale anche per noi. La nostra povertà, e perfino il nostro peccato, può diventare occasione per sperimentare la grandezza e la gratuità dell’amore di Dio.
Essere pescatori di uomini, significa prendersi cura e «custodire ogni vita», come invita a fare il messaggio dei vescovi italiani per la 44à Giornata della Vita, annunciando Cristo con le parole e con le opere.
Tutto quello che siamo e facciamo può raggiungere una fecondità impensabile, se lasciamo che Gesù salga sulla barca della nostra vita e se orientiamo la navigazione alla luce del suo vangelo.