Schema Omelia domenica di Pasqua 17 aprile 2022

Messa del Giorno: At 10,34.37-43   Sal 117   Col 3,1-4   Gv 20,1-9

L’evangelista Giovanni, con grande realismo, descrive la fatica di credere che la vita può ricominciare, che tutto può iniziare da capo, anche quando sembra umanamente impossibile.

Maria di Magdala va alla tomba di Gesù mentre fa ancora buio. Si accorge che la pietra è stata spostata e, presa dall’angoscia, corre da Simon Pietro e dal discepolo amato. Non si limita a raccontare che il sepolcro è vuoto, ma gli dice la conclusione alla quale è arrivata, la “sua” verità: «Hanno portato via il mio Signore dal sepolcro e non so dove lo hanno messo!» (Gv 20,2).

Parole che esprimono una ferita al cuore: il corpo del “suo” Signore non è più nel sepolcro. Del resto, l’elaborazione di un lutto inizia con un corpo morto che raccoglie il nostro dolore. Quando i corpi mancano, le lacrime si disperdono e anche le preghiere finiscono per sperare l’impossibile.

Lo sanno le donne e gli uomini che oggi cercano i corpi delle persone amate, inghiottite dal buio della guerra. Cercano i corpi per dare una minima forma al loro dolore, amplificato ed esasperato da immagini e notizie di fosse comuni, di cadaveri sulle strade, di scarpe e oggetti per terra, di macerie dove prima c’erano case, scuole, teatri e ospedali.

L’amore per Gesù impedisce a Maria di Magdala di rassegnarsi, ma la sua ricerca è chiusa nel passato: cerca il cadavere del suo Signore e questo non gli consente neppure di riconoscerlo quando lo incontra vivo.

Pietro, invece, sembra avere una fede che cerca continuamente conferme e che non riesce a correre. Una fede che ha ancora bisogno di essere purificata e di radicarsi.

Pietro arriva ed osserva il vuoto del sepolcro. Vede i teli e il sudario lasciati in ordine, come se tutto fosse avvenuto con calma. L’evangelista non ci dice che Pietro, vedendo questi segni, crede. Davanti alla tomba vuota, però, inizia un cammino che lo porterà sul lago di Galilea, dove la sua fede maturerà, passando attraverso la triplice domanda che Gesù gli pone sulla verità del sul suo amore per lui.

L’altro discepolo è l’immagine di chi ha fatto l’esperienza di sentirsi amato da Gesù. Ha ascoltato il suo cuore. È rimasto sotto la croce. Si è sentito chiamare e consegnare al cuore di una Madre.

Questo discepolo è animato da una fede piena di entusiasmo, che sa correre, ma sa anche aspettare: aspetta Pietro e lascia che lui entri per primo. È il discepolo che crede anche se non ha ancora compreso. Il nuovo inizio, per lui, nasce dal cuore che si riaccende.

Davanti a un crocifisso è impossibile negare l’evidenza. Sul Golgota la dura realtà si impone ed è più forte di ogni possibile speranza. Una realtà che, in tanti secoli di storia, come anche nel nostro oggi, rende fin troppo evidente dove possono arrivare la crudeltà e l’ignoranza umana.

Una grossa pietra tolta da un sepolcro, dei teli posati là, mentre prima accoglievano un corpo morto, un sudario avvolto in un luogo a parte e uno spazio semplicemente vuoto, possono essere sufficienti per credere alla vittoria del Crocifisso sulla morte?

Per i protagonisti del brano evangelico che abbiamo ascoltato, questi segni sono sufficienti per generare domande, per iniziare un cammino, anzi una corsa, verso la fede. La fede è un percorso disseminato di segni da vedere, interpretare, comprendere, collegare, lasciar “parlare” dentro di noi.

Credere in Cristo risorto è certamente un fatto personale, ma non è mai cosa individuale. È un “lavoro di squadra”, una collaborazione, un percorso a tappe in cui ciascuno percorre un tratto di cammino anche per gli altri, come racconta l’evangelista.

La fede nel Risorto ha bisogno di una donna che va a cercare mentre è ancora buio e che, davanti a un vuoto, corre per esprimere la sua disperazione e chiamare altri a vedere quello che lei ha visto.

La fede si alimenta in una corsa dove chi è più giovane ha il coraggio di aprire la strada e poi attende chi fa più fatica; dove chi è più maturo si prende la responsabilità dei passi più importanti e rischia per chi verrà dopo.

La fede nel Risorto è dono e compito, frutto di una rete di relazioni. Germoglia nell’aiuto reciproco di persone con esperienze diverse: esperienze di lontananza, di perseveranza, perfino di tradimento, ma che corrono insieme per cercare, chiedere, guardare e interpretare quei segni sparsi nelle loro vite, fidandosi di quello che ciascuno ha provato e racconta.

È così che nasce e cresce la comunità cristiana. Ed è così che ciascuno mette la sua esperienza di fede e le sue capacità nella costruzione di un mondo dove i segni della vita sono più forti dei segni della morte.

Cristo è Risorto! Alleluia!

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