Omelia Badia Fiorentina 3 maggio 2022

Santi Filippo e Giacomo, Apostoli: 1Cor 15,1-8   Sal 18   Gv 14,6-14

Non esistono vie, porte, strade che portano al Padre all’infuori di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6).

Solo il Figlio è la porta d’ingresso al Padre. Esistono, però, molte strade che portano al Figlio.

Strade misteriose, che solo Dio conosce. Strade che Dio ci ha fatto conoscere, come quelle che passano dall’amore e dall’attenzione alle persone, giacché «l’uomo è l’eterno roveto ardente di Dio, il permanete luogo della sua manifestazione» (Catechismo degli Adulti, Signore da chi andremo? 1981).

E ci sono le strade che passano dalla consapevole conoscenza di Gesù, dall’annuncio e dalla palese professione di fede in Gesù Cristo e nella sua parola: «Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,7).

Celebrare la festa degli apostoli ci permette di tornare alle radici delle fede e di crescere nella conoscenza di Cristo, attraverso la vita e la testimonianza di coloro che hanno conosciuto il Signore e lo hanno visto risorto.

Pur avendo poche notizie, di Filippo sappiamo che è stato tra i primi ad essere chiamato. Secondo l’evangelista Giovanni a lui si rivolsero i greci per conoscere Gesù, denotandolo come un cosmopolita, abituato ad avere a che fare con i pagani.

Invece, di Giacomo, detto il minore per distinguerlo dal fratello di Giovanni, sappiamo che ha avuto un ruolo importante nel concilio di Gerusalemme, divenendo capo della Chiesa della città alla morte di Giacomo il Maggiore, e che è stato ucciso presumibilmente a Gerusalemme attorno all’anno 62.

Filippo e Giacomo vengono ricordati lo stesso giorno perché le loro reliquie furono deposte insieme nella chiesa dei Dodici Apostoli a Roma.

Festeggiare gli apostoli e tornare alle radici, ci ricorda che il cristianesimo non è un’ideologia o un sistema filosofico, ma un cammino di fede che parte dall’avvenimento Gesù Cristo.

La radice e il fondamento della fede, che tutti gli apostoli hanno proclamato e testimoniato, è Gesù Cristo. Gesù morto, sepolto e risorto.

Come abbiamo ascoltato nella prima lettura, Paolo riassume così l’essenza della fede: Gesù è morto per i nostri peccati, fu sepolto, e il terzo giorno è risorto ed è apparso a Pietro e ai Dodici (cfr 1 Cor 15,3-5).

Annunciando il nucleo centrale della fede, Paolo insiste soprattutto sull’ultimo elemento del mistero pasquale, sul fatto che Gesù è risuscitato.

L’annuncio della risurrezione, come ricorda ai Corinzi, Paolo lo ha ricevuto dalla tradizione apostolica, lo ha custodito e annunciato con fedeltà: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1 Cor 15,3).

Il vangelo annunciato è fonte di salvezza, se non viene manipolato, piegato a interpretazioni di parte: con fedeltà deve essere accolto, conservato e trasmesso (cfr 1 Cor 15,1-2).

Paolo non aveva mai visto Gesù prima della sua crocifissione, ma lo ha conosciuto risorto, quando gli è apparso mentre con accanimento stava perseguitando la chiesa.

L’esperienza vissuta non lo ha lasciato indifferente. L’incontro con Gesù risorto ha cambiato per sempre la sua vita. La grazia di Dio lo ha toccato e lo ha reso l’apostolo che conosciamo, mettendo a servizio del vangelo tutta la sua persona, con le sue peculiari caratteristiche.

L’essenza del vangelo è sempre quella, ma viene trasmessa e ci raggiunge attraverso la singolarità delle persone: con il loro volto, il tono della loro voce, il loro carattere, la loro storia.

Ciascuno ha una propria storia personale e comunitaria. Ed è con questa nostra storia che siamo chiamati a inserirci nel cammino della Parola.

Una Parola che ci ha raggiunto e coinvolto, affidando al nostro volto, al nostro tono di voce, al nostro carattere e alle nostre contraddizioni il compito di testimoniare e trasmettere, nel nostro contesto di vita, quello che a nostra volta abbiamo ricevuto.

Filippo e Giacomo, intercedano per noi

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