Schema Omelia domenica 8 maggio

Quarta di Pasqua anno C: At 13,14.43-52   Sal 99   Ap 7,9.14-17   Gv 10,27-30

«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27). Ascoltare, conoscere, seguire: tre verbi di relazione. Non di una relazione qualsiasi, ma di una relazione profonda, significativa, che cambia la vita.

Ascoltare. Atteggiamento essenziale e difficile, non solo verso gli altri, ma anche nei confronti di Dio.

Parlare con Dio nei più diversi momenti della giornata è certamente cosa buona e relativamente semplice.  Ma ascoltare la sua parola, ascoltare la voce di Gesù, è cosa ben diversa, certamente più impegnativa e meno frequente.

Tutto parte dall’ascolto della parola detta da Dio, di cui l’universo e noi stessi siamo frutto.

La voce è il segno della presenza: giunge all’orecchio del cuore prima ancore delle parole pronunciate.

Quando Maria, entrata nella casa di Zaccaria, saluta Elisabetta, la sua voce fa danzare il grembo: «Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44).

Più diventiamo familiari con una persona, tanto più facilmente saremo capaci di riconoscerne la voce, in ogni circostanza. Anche quando ci siamo persi, anche quando siamo lontani, anche quando siamo nella notte.

Nella nostra vita si mescolano molte voci. Sostanzialmente due generi di messaggi si disputano il nostro ascolto: quello dei mercenari, che cercano di sedurci per i loro interessi; quello dei maestri, che cercano di educare il nostro sentire e il nostro sguardo: è certo più scomodo, ma dà ali e fecondità alla vita.

A volte ci possiamo perdere, percorrendo strade pericolose per curiosità o per sfuggire a una certa monotonia o per spirito di avventura. Ma alla fine cerchiamo sempre un ovile, qualcuno che ci accoglie e si prende cura di noi.

Conoscere. Si tratta di quella conoscenza che nasce da un’attenzione, da un legame, da una relazione d’amore.

Lo sguardo del buon pastore non è quello di un Dio attento ai nostri errori e che genera paura e imbarazzo, ma è uno sguardo di benevolenza. È lo sguardo che Gesù ha rivolto a tanta gente e che continua a rivolgere a ciascuno di noi.

La sua conoscenza delle pecore consente al pastore di fare sentire ognuna compreso, accolto e amata. E la pecora si fida di lui.

Seguire. Esprime un movimento che implica stacco dalla situazione in cui ci si trova, per andare con fiducia dietro al pastore, sulle strade che lui sceglie di percorrere.

Per non perdersi sulle strade della vita e in eterno (cfr Gv 10,28), siamo chiamati a seguire Gesù per i sentieri dove lui ci conduce, anche quando sono diversi da quelli immaginati e passano per terreni faticosi.

Quello di chi ascolta la voce del pastore è un atteggiamento contrario a quello di chi, per sentirsi tranquillo e “protetto”, ha bisogno di idoli, amuleti, medagliette, immagini, da portare addosso o da tenere in casa o in macchina, nell’illusione che sia Dio a seguire e sostenere le sue scelte e a benedire le strade che lui sceglie di percorrere.

Questi pochi versetti del Vangelo di Giovanni, semplici e diretti, sono come un abbraccio. Poche parole che vanno diritte al cuore e ci rassicurano che nessuno potrà strapparci dalla mano del pastore, nessuno potrà separarci dalla mano del Padre (cfr Gv 10,28-29).

Questa buona notizia del Vangelo ci raggiunge in un tempo in cui rischiamo di sentirci perduti tra il fragore delle armi, abbandonati tra le lacrime provocate dal dolore, strappati dalla bellezza della pace.

Nella vita ci si può perdere, ma possiamo essere certi che il pastore sta venendo a cercarci. Anche questa volta. A noi il compito di ascoltare la sua voce e di aprirci alla relazione con lui.

Il pastore ci cerca per farci comprendere la grandezza della nostra chiamata, la nostra vocazione, per condurci «alle fonti delle acque della vita» e per asciugare «ogni lacrima» (Ap 7,17) dai nostri occhi, colmando in pienezza il nostro bisogno di essere accolti; il nostro bisogno di amore e di pace.

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