Una politica gentile a servizio dei più deboli e degli esclusi

In  margine all’incontro svolto in Palazzo Vecchio questo pomeriggio (22 maggio 2022), ispirato alla figura di Davide Maria Sassoli, e basandosi su quanto di lui hanno detto molti commentatori (gentile, appassionato, capace, lungimirante, sorridente, pensoso, radicato in solidi valori, dialogante) mi pare utile riflettere sulla necessità della politica della gentilezza per affrontare positivamente i nodi problematici e le sfide di questo nostro tempo.

Nella vita non dobbiamo mai temere i contrasti di opinione, le discussioni fra punti di vista diversi.

Dobbiamo piuttosto temere la mancanza di veri e propri confronti e quelle situazioni caratterizzate da piatta uniformità, da un gregarismo interessato e vuoto. Così come dobbiamo temere quei falsi dibattiti caratterizzati da aggressività verbale e da argomentazioni superficiali e spesso strumentali.

In qualsiasi ambito di vita le divergenze sono inevitabili e rappresentano anche un’occasione per mettere a fuoco le cose che contano, per avviare i necessari cambiamenti e per fare dei passi avanti, come è avvenuto nella prima comunità cristiana.

Da tempo nei saluti iniziali delle lettere, e delle email, l’espressione “gentile” ha praticamente rimpiazzato il caro/a di una volta. Ma nella vita quotidiana e sui media sembra dominare l’aggressività, spopolano gli urlatori, appare vincente chi riesce a zittire gli altri. Al punto che Papa Francesco parlando di una persona gentile la definisce un miracolo (cfr Fratelli tutti, 224).

Nel tempo della politica gridata e in perenne scontro, delle strumentalizzazioni, di uno sfacciato opportunismo, di partiti senza storia e memoria, poveri di leader, senza testimoni veramente autentici e animati da ideali forti, con posizioni che durano lo spazio e il tempo di un tweet, la gentilezza in politica, ma non solo in politica, sembra il più provocatorio dei paradossi.

Nel suo essere paradosso, la gentilezza appare indispensabile per ridare senso alla politica e farle recuperare la sua finalità fondamentale: governare il presente immaginando il futuro, tenendosi ancorati alla costruzione e al bene della comunità

Si potrebbe dire che si è gentili nella misura in cui si è umani, non quando i nostri atteggiamenti si limitano alle buone maniere e i formalismi.

Ecco perché, quando la gentilezza «si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti» (F.T. 224).

La gentilezza è virtù dei forti, qualità di chi possiede le redini della propria vita tra le mani, segno che trasmette attenzione all’altro.

Una politica gentile, è possibile quando c’è passione e visione; se si pensa e si prendono sul serio le persone e le situazioni, se si è radicati in valori forti e se si fa la fatica di studiare le questioni, cogliendone la complessità.

La gentilezza, infatti, non è mai rinuncia alla chiarezza e all’incisività. Ed è parte essenziale dei contenuti di una politica davvero buona, degna del suo compito.

Solo partendo da un effettivo ascolto di persone e mondi diversi, le ragioni – che sono sempre plurime, pur essendocene di preponderanti – hanno la possibilità di venire chiaramente individuate e di prevalere. Senza mai dimenticare che le persone e quel che esse vivono, va sempre guardato con attenzione, al di là delle loro ragioni.

È quindi doveroso uno sforzo per cercare di comprendere le motivazioni degli altri. Motivazioni che possiamo non condividere, che possiamo anche osteggiare – sempre nel rispetto della persona – ma che non dobbiamo mai rinunciare a capire.

Quando la politica è riflessiva, lungimirante, decisa e dialogante, è davvero il vero motore del bene comune e, quindi, necessariamente attenta ai più deboli e agli esclusi. Ecco, mi pare, la lezione di gentilezza di Davide Sassoli.

Sono convinto che dalla città può partire anche la sfida alla politica gridata, autoreferenziale e miope. Ritessendo con pazienza e fatica le relazioni comunitarie, ridando significato alla politica e slancio alla dimensione educativa, attraverso una rinnovata partecipazione dei cittadini, mediante un protagonismo da affermarsi su due livelli oltre e prima che sul piano politico e istituzionale.

Il livello delle relazioni interpersonali – senza il quale gli altri livelli perdono consistenza – e il livello sociale non istituzionale – che potremmo definire un “cantiere sociale sempre aperto” –, cioè lo spazio pubblico entro il quale idee, culture, credenze e convinzioni differenti e anche contrastanti, si confrontano fra loro, tendendo a individuare un orizzonte condiviso, per camminare insieme verso quello che oggi viene definito un comune destino.

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