Mercoledì Sesta di Pasqua – Santa Maria Maddalena de’ Pazzi: At 17,15.22-18,1 Sal 148 Gv 16,12-15
«Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse…» (At 1722). Paolo non teme di annunciare la novità di Cristo nel cuore della cultura ateniese e della più alta civiltà del tempo.
L’approccio di Paolo con questo mondo dell’intelligenza ancora imbevuto di pieno paganesimo, tiene conto dell’abito mentale ed esistenziale di quanti lo ascoltano, ricordando quel che i loro filosofi e poeti (Epimenide e Arato ed altri) hanno portato di bello e di buono al patrimonio culturale dell’umanità.
Il discorso di Paolo parte valorizzando le ricchezze della cultura greca e sviluppa il discorso in modo avvincente per poi sfociare nell’annuncio della resurrezione di Cristo.
L’esito non sembra positivo. Paolo non riesce a scuotere il torpore di chi si pone domande solo dentro la dimensione razionale. La risposta, di fatto, è un congedo quasi ironico e distaccato: «Su questo ti sentiremo un’altra volta» (At 17,32).
Paolo non ha conquistato le folle e nemmeno le élite. Il seme gettato, però, non è andato perduto: «alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dionigi, membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro» (At 17,34).
Questo brano ci dice l’importanza del confronto della fede con la cultura. Come ha detto Giovanni Paolo II: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» (16 gennaio 1982). E, come dice Papa Francesco: «La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve» (E.G. 115).
La fede ha bisogno del costante confronto con la cultura del tempo, per poter essere feconda e incarnarsi, anche se il confronto tra la fede e la cultura sarà sempre insufficiente se rimane circoscritto al piano della razionalità.
La fede, come del resto la vita stessa, ha bisogno di un cuore che palpita e non può accontentarsi di nozioni apprese in biblioteca, nelle sedi universitarie o nelle grandi disquisizioni filosofiche, e neppure al catechismo.
La fede nasce in persone bene incarnate nella loro cultura, ma che non soffocano nella cultura e nella sola razionalità ogni dimensione della loro umanità. La fede viene trasmessa da persone che con la loro vita gridano: ho incontrato Cristo e da allora tutto è cambiato in me e per me.
Lo stesso Paolo, pur prestando sempre attenzione alla realtà culturale e esistenziale dei propri ascoltatori, annuncia chiaramente Gesù Cristo risorto, che lo ha conquistato totalmente sulla via di Damasco.
Nella vita del testimone sta la forza e la credibilità di un annuncio, che, ieri come oggi, non può che essere «scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,23). Un annuncio che è sempre oltre ogni razionalità, ma che ha bisogno della razionalità, della comprensibilità e della credibilità di chi annuncia.
Cristo si accoglie, si dona e si comprende in modo sempre più profondo, vivendo una feconda relazione con lui.
Ci sono delle verità di cui ancora non siamo «capaci di portarne il peso» (Gv 16,12). Sicuramente si tratta della verità di Dio, ma si tratta anche della verità sulla persona umana. La verità su noi stessi.
Lo «Spirito della verità», ci guida a «tutta la verità» (Gv 16,13), accompagnandoci in un percorso che non dura solo tutta la vita, ma anche tutta la storia.
La Chiesa, grazie all’aiuto dello Spirito, continua ad attingere la novità di Dio dalla parola che custodisce e annuncia. Per l’azione dello Spirito, la Chiesa, in tutte le sue espressioni, sa di essere chiamata a vivere la sempre necessaria “renovatione”, anche per combattere la “tiepidità” di tanti battezzati, come ha attivamente gridato a papi, vescovi e religiosi Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, di cui oggi facciamo memoria.
La progressività del cammino, con il costante cambiamento che richiede, non riguarda solo la Chiesa nel suo insieme, ma anche personalmente ciascuno di noi.
Credere è un percorso che dura tutta la vita e la conversione è un atteggiamento interiore che ci coinvolge ogni giorno. Non siamo mai definitivamente credenti, ma sempre cercatori di quel Dio che ci precede, ci supera e ci attrae.
Santa Maria Maddalena da grande mistica ha posto la centralità della Trinità nella vita spirituale ed ecclesiale e ha vissuto la sua esperienza interiore come un profondo amore a Dio. Donna innamorata dell’amore, continuamente chiedeva alle consorelle in formazione: “Venite ad amare l’Amore!”
Invochiamo con forza e passione il dono dello Spirito, perché nella misura propria di ciascuno, possiamo fin d’ora vivere la dolcezza della comunione trinitaria e ad essere amanti dell’Amore.