Omelia Badia Fiorentina 13 luglio 2022

Mercoledì quindicesima per annum: Is 10,5-7.13-16   Sal 93   Mt 11,25-27

«Oh!» (Is 10,5). La liturgia di oggi inizia con un’espressione di sconcerto e irritazione, che Isaia utilizza per far conoscere il fremito del cuore di Dio davanti alla superbia a cui possono arrivare uomini e popoli.

La stessa espressione può anche essere utilizzata per esprimere stupore e meraviglia di fronte alla preghiera di lode di Gesù: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).

I sapienti e gli intelligenti sono coloro che pretendono di racchiudere Dio nei limiti del proprio intelletto. Mentre i piccoli di cui parla Gesù sono le persone senza una speciale conoscenza delle scritture e teologica, ma che cercano Dio con sincerità di cuore.

Concretamente, questi piccoli, ai tempi di Gesù erano coloro dei quali scribi e farisei dicevano: «Un ignorante non può sfuggire al peccato e un uomo dei campi non può appartenere a Dio».

La relazione con Dio, però, non si misura con le competenze. La mancanza di una specifica conoscenza teologica, non significa essere ignoranti religiosi che non sanno in chi e in che cosa si credono.

Se valutiamo in base all’esperienza quotidiana, potremmo addirittura dire che fra i sapienti e i dotti di cui parla Gesù nel vangelo e i contemporanei “analfabeti religiosi” ci sono molti punti di contatto, a cominciare dalla superbia data dalla convinzione di sapere che soffoca il senso della ricerca.

La parola del profeta Isaia ci offre la possibilità di dare profondità allo stupore del Signore Gesù, facendoci entrare in quella zona d’ombra, fatta di insensata superbia, che in noi e fuori di noi si oppone alla logica del Vangelo: «Con la forza della mia mano ho agito e con la mia sapienza, perché sono intelligente» (Is 10,13).

Queste parole ci aiutano a cogliere in cosa consiste la sostanziale differenza tra i «piccoli», ai quali il Padre rivela le cose essenziali per la vita in pienezza, e i sapienti, qui incarnati dalla grettezza mentale dell’Assiria, che in modo sfacciato e ridicolo si autocelebra: «Come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra. Non vi fu battito d’ala, e neppure becco aperto o pigolìo» (10,14).

I «piccoli» trovano sempre la loro forza nella fecondità della relazione con gli altri. È la relazione che rende capaci di rafforzare il tessuto della vita e della storia, sempre messo a dura prova da chi pretende di essere migliore e di bastare a sé stesso.

Per rinforzare le identità oggi smarrite, quelle personali e quelle comunitarie, servono proprio relazioni vere, non slogan semplicistici, con molta contraddizione e a basso costo di apprendimento.

Per diventare consapevoli della propria identità, che è sempre da coltivare, è necessario valorizzare con umiltà l’intreccio che ci lega gli uni agli altri. È necessario intrecciare storie e vissuti per far emergere la ricchezza dell’umano e aprirsi all’azione di Dio.

«Tutto è stato dato a me dal Padre mio» (Mt 11,27). Questo «tutto» non ha nulla a che vedere con il totalitarismo evocato dal profeta Isaia quando parla dell’Assiria. Il «tutto» di cui parla Gesù è la piena rivelazione di Dio e la sua offerta d’amore.

All’indifferenza di chi vive arroccato in ciò che già sa o crede di sapere, Gesù risponde facendo memoria della vita e della gioia di coloro che scoprono di avere un cuore disposto a lasciarsi guidare e ammaestrare, un cuore capace di ascolto e di conversione, un cuore capace di accogliere l’amore e di amare.

Fin dall’inizio del suo vangelo, Matteo presenta Gesù come il «Dio con noi» (cfr Mt 1,23). Un Dio che non è da cercare, ma da accogliere.

Per accoglierlo non bastano le conoscenze approfondite della bibbia o i cosiddetti percorsi di perfezione autoreferenziali o, tanto meno, il conformismo irriflessivo e quell’ignoranza religiosa, frutto e causa di un soggettivismo esasperato, che caratterizza l’uomo contemporaneo.

Senza una concreta attenzione al bene delle persone, anche le cose migliori possono rendere spiritualmente superbi.

Gesù lo si accoglie con umiltà. Lo si accoglie andando con lui e come lui verso le donne e gli uomini del nostro tempo, con la consapevolezza delle nostre contraddizioni e dei nostri limiti, ma anche senza paura di sporcarsi le mani.

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