Schema Omelia domenica 17 luglio 2022

Sedicesima Domenica Tempo Ordinario Anno C: Gn 18,1-10   Sal 14   Col 1,24-28   Lc 10,38-42

Compiere il bene è sempre cosa buona. Un cristiano, però, non può appiattirsi sulla dimensione orizzontale del bene, soprattutto quando fare il bene porta a diventare «cultori di quella religione che è l’“indaffaratismo”», persone «che sempre stanno facendo» (Papa Francesco, Santa Marta, 9 ottobre 2018).

Chi è solo e perennemente indaffarato, anche per svolgere servizi a favore delle persone e della comunità, fa certamente del bene, ma un bene strutturalmente parziale, perché quando manca la dimensione spirituale il servizio prevale sulle persone e viene meno la relazione interpersonale e sociale.

La via del cristiano è quella che sa tenere insieme accoglienza, contemplazione e servizio, anche quando il momento in cui l’altro si presenta non è quello più propizio per noi.

Come narra la prima lettura, Dio arriva nell’ora più calda del giorno, quando niente si muove, soprattutto nei paesi del Mediterraneo. È l’ora in cui non si vorrebbe essere disturbati per poter riposare. Ma è in quest’ora che Dio sorprende Abramo e lo apre alla dinamica dell’accoglienza, del servizio e dell’ascolto.

Anche il brano del vangelo che abbiamo ascoltato ci parla di accoglienza – «mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò» (Lc 10,38) – mettendo in evidenza come due sorelle hanno due modi molto diversi di vivere la presenza dell’altro nella loro vita.

Prima di guardare a queste due sorelle, può essere utile rilevare che nella Bibbia è difficile trovare una coppia di fratelli che non abbiano una relazione difficoltosa, mentre si trovano buoni rapporti di amicizia, forti legami padre-figlio, marito-moglie e perfino un esempio di relazione riuscita tra suocera e nuora (cfr il libro di Ruth).

Il rapporto tra fratelli fin dall’inizio sembra segnato dalla violenza, come nel caso di Caino e Abele, da antagonismo, incomprensioni e conflitti.

Incomprensione e conflitto che emergono anche tra Marta, che incarna l’efficienza che sembra richiedere il dovere dell’ospitalità, e Maria, che incarna la gratuità della presenza attraverso il suo porsi in ascolto dell’ospite.

I due atteggiamenti entrano in collisione, come evidenzia la lamentela che, in un contesto di amicizia e di intimità, Marta rivolge a Gesù: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10,40).

Dobbiamo ammettere che viene spontaneo prendere le difese di Marta, perché sappiamo bene quanto impegnano le occupazioni domestiche e che facilmente ci lasciamo innervosire da chi non sembra accorgersi che abbiamo bisogno di aiuto o minimizza il nostro impegno.

Le parole con le quali Gesù risponde a Marta, più che un richiamo, appaiono come una chiamata: «Marta, Marta». La chiama due volte come avviene nelle grandi vocazioni: «Mosè, Mosè» (Es 3,4); «Samuele, Samuele» (1Sam 3,10); «Saulo, Saulo» (At 9,4)

Gesù non contesta a Marta il servizio ma l’affanno e la dispersione, che velano gli occhi e, oltre alle mani, occupano la mente e il cuore: «ti affanni e ti agiti per molte cose» (Lc 10, 41).

Per Marta la presenza del Signore rischia di diventare solo fatica, doveri e obblighi, per predisporre un’ospitalità che lei pensa sia di gradimento del maestro.

L’atteggiamento di Marta, mi pare dica molto anche su quelle pratiche religiose che sono mosse e accompagnate dall’ansia di prestazione (devo fare! devo dire!), più che dalla libertà della relazione.

Solo quando capiremo che quello che conta non va guadagnato, ma va solo accolto, potremo davvero fare come Maria e godere della relazione col Signore.

Questo brano segue immediatamente quello del samaritano ed è come se ci dicesse: il discepolo non è solo colui che ha cura dell’altro, ma è anche quello che sa vedere il Signore che ha cura di lui, che sa accogliere quanto il Signore fa per lui.

Maria ha scelto la parte migliore (cfr Lc 10,42), perché l’accoglienza di Cristo e della sua parola è il fondamento di tutto.

Solo un profondo e maturo rapporto con Cristo impedisce al discepolo di entrare nel club degli indaffaratisti, anche di pratiche religiose.

Guardare a Cristo e ascoltare la sua parola, ci rende più maturi, perché spinge a coltivare relazioni vere, aiuta a crescere in umanità e fa assumere al servizio la sua vera dimensione.

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