Diciassettesima Domenica Tempo Ordinario Anno C: Gen 18,20-32 Sal 137 Col 2,12-14 Lc 11,1-13
Dio ascolta sempre ogni grido di dolore e di disperazione, anche se non fosse direttamente indirizzato a lui e anche se i tempi e le modalità della risposta fossero diversi da quelli che ci aspetteremmo.
Lo testimoniano le parole iniziali della prima lettura di questa domenica: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave» (Gen 18,20). E lo testimonia in modo emblematico tutta la vicenda dell’Esodo: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido» (Es 3,7).
Oltre alla questione dei tempi, dei momenti e delle modalità con cui Dio fa sentire la sua presenza, sul piano pratico una qualche risposta arriva quando intorno a noi ci sono persone attente agli altri, che sanno vivere le relazioni, che si prendono cura di chi soffre, che si impegnano per rendere più umano il mondo.
Dio opera sempre tramite le persone e la loro disponibilità, come ha fatto con Mosè per la liberazione del popolo dalla schiavitù egiziana.
La stessa audace preghiera di Abramo, oltre a mettere in evidenza la sua intima fiducia in Dio, dimostra come Dio sia pronto a sospendere il castigo annunciato per le iniquità degli uomini, grazie all’intercessione di un uomo.
Questo brano ci parla del male che fa gridare al cielo chi lo subisce, ma anche della grande disponibilità e misericordia di Dio.
Dalla conclusione del brano sappiamo che in Sodoma e Gomorra non ci sono neppure dieci persone rette. Ma può pure darsi che non ce ne fosse stata nemmeno una.
Come una relazione vera ci fa sempre meglio conoscere l’altro e noi stessi, così l’esperienza della preghiera, che è ascolto della parola di Dio e immersione nel mistero, ci fa conoscere sempre più e meglio il volto di Dio e il nostro proprio volto con quello che ci sta a cuore.
Dio conosce perfettamente chi e come siamo: «il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7). Però Gesù ci insegna ugualmente a chiedere.
Nella relazione intima e profonda della preghiera, facciamo esperienza della nostra povertà e della nostra piccolezza. Sentiamo che non possiamo bastare a noi stessi, che abbiamo fame non solo di pane, ma anche degli altri e di un oltre.
La preghiera è momento di verità. È certamente frutto dello spirito di Dio che abita in noi e che grida: «Abbà! Padre!» (cfr Rm 8,15), ma è anche il racconto che facciamo a Dio di noi stessi: delle nostre gioie, dei nostri dolori, dei nostri affetti, delle nostre preoccupazioni, delle nostre chiusure e dei nostri slanci, delle auspicate o fuggite o reali relazioni interpersonali e sociali.
Raccontare al Padre la nostra storia non è mai inutile, sia perché quando raccontiamo mettiamo meglio a fuoco le cose, sia perché, ponendola sotto lo sguardo di amore del Padre, la nostra storia cambia senso e prospettiva.
Il dialogo fra Abramo e Dio ci mostra che la preghiera nasce da una relazione fiduciosa e intima con Dio. Una relazione che Abramo non vive focalizzandola su sé stesso, ma osando per il bene degli altri.
I discepoli chiedono a Gesù che insegni loro a pregare: vogliono una preghiera che li identifichi, distinguendoli dagli altri, così come Giovanni Battista sembra aver insegnato ai suoi discepoli una preghiera che li caratterizza (cfr Lc 11,1).
Gesù non insegna formule particolari, né consegna regole o orari per la preghiera, ma indica l’orizzonte entro il quale va collocato il rapporto con Dio.
Anzitutto insegna a rivolgersi a Dio in modo che potremmo definire non religioso: chiamandolo semplicemente Padre. E poi indica chiaramente che ci si rivolge a lui in modo solidale, dimenticando le parole io e mio.
Al di là dell’esperienza che concretamente abbiamo o non abbiamo avuto con il nostro padre terreno, Gesù ci dice che, nella preghiera, ci troviamo davanti a un Padre che ama e che è sempre pronto ad ascoltare i suoi figli.
Gli esempi dell’amico invadente che domanda tre pani a mezzanotte, del bimbo che chiede un pesce o un uovo al suo papà, diventano modelli proposti alla nostra relazione con Dio, fatta di richieste semplici, insistenti, quotidiane, personali, a volte addirittura inopportune.
La preghiera, come ogni relazione vera, ci aiuta a cambiare. Senza volontà di cambiamento la preghiera resta debole e impotente.
Potremo avere tutto, ma senza la forza necessaria per compiere la volontà del Padre, non si concretizza il suo progetto di amore e non realizziamo noi stessi. Ecco perché Gesù garantisce che il Padre darà sempre «lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (Lc 11,13).
Oggi si celebra la seconda giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani. E il messaggio di papa Francesco si riferisce al salmo 92,15: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti” (Sal 92,15). Certamente frutti di esperienza e di saggezza, ma anche frutti di preghiera.
Nonni e anziani hanno, o anno avuto, cura di noi e rimangono sempre una ricchezza. Matureremo e saremo capaci di guardare al futuro con speranza e, come persone e come società, sapremo mettere insieme i frutti che ciascuno ha dato e può dare, se sapremo raccontarci vicendevolmente le nostre storie e se sapremo pregare gli uni gli altri.