Omelia Badia Fiorentina 10 novembre 2022

Giovedì trentaduesima settimana – San Leone Magno: Fm 1,7-20   Sal 145   Lc 17,20-25

I farisei pensavano che il regno di Dio potesse arrivare soltanto quando la gente fosse giunta alla perfetta osservanza della Legge, come ricompensa al buon comportamento. E pensavano che il messia sarebbe venuto in modo solenne come un re, ricevuto dal suo popolo.

Gli stessi discepoli, inseriti nella mentalità religiosa del tempo, attendevano che il regno di Dio giungesse in modo spettacolare.

È in questo contesto che nasce la domanda che i farisei pongono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?» (Lc 17,20).

Con le sue risposte Gesù dice che l’agire di Dio è diverso dalle attese degli uomini e presenta una visione opposta.

Non solo «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione» (17,20), ma è già presente. C’è solo da affinare lo sguardo per leggerne i segni, accoglierli e attendere il giorno del «Figlio dell’uomo» (Lc 17,24), cioè il ritorno nella gloria dello stesso Gesù.

Il regno di Dio è in mezzo a noi. Non si incontra il Signore fuori dalla quotidianità, correndo dietro agli eventi eclatanti oggi qua domani là.

Gli eventi della vita non seguono le nostre agende e neppure le nostre aspettative. Vorremmo vincere senza lottare e combattere senza soffrire. Ma non è questa la strada tracciata da Gesù.

Alla luce della parola di Dio, il nostro sguardo deve saper riconoscere i segni del regno, il nostro cuore deve sentire il calore della sua presenza e la nostra vita lo deve accogliere con coraggio. E con coraggio siamo chiamati a operare per far crescere i suoi semi, anche se la loro crescita non è immediatamente percettibile.

Pensiamo, ad esempio, a quella che qualcuno ha chiamato la prima dichiarazione cristiana dei diritti dell’uomo, ossia quel piccolo capolavoro rappresentato dalla lettera a Filemone, che abbiamo in parte ascoltato come prima lettura.

Paolo non fa pubbliche e solenni dichiarazioni di principio, ma cerca di trasformane dall’interno i rapporti umani fra padrone e schiavo, insegnando a vedere anche nello schiavo un fratello di pari dignità e grandezza. Un cambiamento forse impercettibile ma reale.

Onésimo è uno schiavo fuggito dal suo padrone Filèmone, sottraendogli anche una discreta somma di denaro (cfr Fil 1,18-19). Dopo varie peripezie incontra Paolo, mentre si trova in prigione, che gli annuncia il vangelo. Onésimo si converte al cristianesimo e Paolo lo rimanda al suo padrone, con una lettera, nella quale chiama Onésimo «figlio», perché lo ha generato alla fede, così come in precedenza aveva generato Filèmone.

Con questa lettera, Paolo mette in evidenza la presenza del regno e contribuisce a far crescere i suoi semi, semplicemente chiedendo a Filèmone di accogliere il suo schiavo come se accogliesse lui stesso e di accoglierlo come «fratello carissimo nel Signore» (Fil 1,16),

Un modo diverso, ma altrettanto concreto, di accogliere il regno è quello di san Leone Magno, di cui oggi facciamo memoria.

San Leone ha contribuito a rendere visibili i semi del regno non solo sostenendo con forza, al concilio di Calcedonia, che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, ma anche con il suo operare sul piano sociale.

È rimasto celebre l’incontro di papa Leone con Attila, capo degli Unni: riuscendo a dissuaderlo dal proseguire la guerra d’invasione con la quale già aveva devastato le regioni nordorientali dell’Italia, Leone salvò il resto della Penisola.

Tre anni dopo, nella primavera del 455, le cose vanno diversamente: papa Leone non riuscì a impedire che i Vandali di Genserico, giunti alle porte di Roma, invadessero la città. Riuscì, però, a impedire che Roma fosse incendiata e ottenne che dal terribile sacco fossero risparmiate le Basiliche di San Pietro, di San Paolo e di San Giovanni, nelle quali si rifugiò parte della popolazione terrorizzata.

Sia la lettera a Filemone che l’azione di papa Leone, ci parlano della loro solida fede nella presenza del regno. E ci dicono che c’è un legame necessario e inscindibile fra la confessione della fede e l’agire per affermare la dignità della persona, la giustizia e la pace.

Se si spezza questo legame, la fede rischia di perdere la sua autenticità e il nostro agire rischia la sterilità.

San Leone magno, interceda per noi.

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