Omelia Badia Fiorentina 24 novembre 2022

Giovedì Trentaquattresima settimnana – Santi Andrea Dung-Lac e compagni martiri: Ap 18,1-2.21-23; 19,1-3.9   Sal 99   Lc 21,20-28

Nel cammino della vita siamo chiamati a confrontarci costantemente con prove, corruzione, apparenze e, soprattutto, con logiche e visioni che di fatto insidiano la dignità di ogni persona.

Le due letture che abbiamo ascoltato, tratte dal libro dell’Apocalisse e dal vangelo di Luca, pongono al centro dell’attenzione due città fortemente evocative: Babilonia e Gerusalemme.

Babilonia, città simbolo della ricchezza, del lusso, del potere di questo mondo. Ma il senso di autosufficienza e la corruzione che si annidano dietro la sua magnificenza la portano alla distruzione: «È caduta. È caduta Babilonia, la grande» (Ap 18,2).

Significativo è l’elenco delle conseguenze descritte da Giovanni. Non ci saranno più feste: «Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te». Non ci sarà più possibilità di lavoro: «ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; il rumore della màcina non si udrà più in te» (Ap 18,22). Non ci sarà neppure possibilità di vita notturna perché «La luce della lampada non brillerà più in te». E, infine, «la voce dello sposo e della sposa non si udiranno più in te» (Ap 18,23), forse perché manca l’amore.

Potremmo dire che questa è la descrizione della crisi e della fine non solo di una città, ma di ogni civiltà che pensa di bastare a sé stessa e nella quale proliferano ingiustizie, infedeltà, corruzione; una civiltà incapace di sostenere e tutelare il valore della persona e il bene comune e di aprirsi alla trascendenza.

Anche per Gerusalemme è previsto un duro futuro: «sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti» (Lc 21,24). La città santa sarà distrutta perché ha aperto le porte del cuore alle logiche dei pagani, vivendo come Babilonia.

La città della pace (ir-shalom) è tutto meno che pacifica e il suo tempio, da “casa di preghiera” è trasformato in un “spelonca di ladri” (cfr Lc 19,46).

In un certo senso, Gerusalemme rappresenta l’incoerenza che ognuno porta dentro di sé, la nostra ipocrisia, le nostre piccole e grandi bugie.

Il brano dell’Apocalisse e quello del vangelo rappresentano una provocazione anche per noi: ci stimolano a una seria riflessione sul nostro pensare e sul nostro agire, a partire dagli illusori tentativi di fare una sintesi impossibile tra la logica di Cristo e quella del mondo.

Le letture di oggi, però, non parlano solo di peccati e distruzioni, ma aprano una prospettiva di speranza: dopo la distruzione c’è la salvezza: «Dopo questo, udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: «Alleluia!» (Ap 19,1).

Per non soccombere è necessario guardare oltre e in alto. Mentre il male precipita nell’abisso del non senso (Babilonia la grande è caduta), ecco la beatitudine finale: «Scrivi: Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!» (Ap 19,9). La visione dell’Apocalisse è grandiosa e parla di una vera festa che non avrà fine.

Un’immagine di vittoria e di speranza conclude anche il brano del vangelo: «vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (Lc 21,27).

Non dobbiamo temere gli attacchi dei pensieri nocivi e non dobbiamo soccombere davanti agli sconvolgimenti e nelle tragedie. Nei momenti di persecuzione e di difficoltà è importante non dimenticare che l’aggressività del male, comunque si presenti, non può togliere la certezza che la pienezza della vita è in Dio: «risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28).

È proprio nei momenti drammatici che risuona la Parola di salvezza: non è questa la fine. È sicuramente questa certezza che ha sostenuto tutti coloro che in ogni parte del mondo hanno testimoniato con la vita la loro fede in Gesù Cristo, compresi i martiri Vietnamiti di cui oggi facciamo memoria.

Andrea Dung Lac e i suoi compagni, maschi e femmine di ogni condizione ed età, col loro martirio ci dicono che, ad accompagnare la semina del vangelo nelle varie regioni del Viet Nam, più che il loro annuncio è stata la loro fedele testimonianza.

Più che il solo annuncio di Cristo e della sua parola, potrà proprio essere la nostra quotidiana e fedele testimonianza di vita a trasformare e rendere feconda la comunità nella quale viviamo e l’intera nostra società.

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