Prima domenica di Avvento Anno A: Is 2,1-5 Sal 121 Rm 13,11-14 Mt 24,37-44
La conclusione del vangelo di oggi ci offre il vero orizzonte del tempo di Avvento, che è riduttivo limitare alla sola preparazione al Natale: «Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Mt 24,44).
Come proclamiamo in ogni celebrazione eucaristica dopo la consacrazione, l’attesa del cristiano ha un volto e un nome, cambia ogni altra prospettiva e fa vivere il tempo in modo nuovo: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta».
Solo risvegliando quest’attesa, potremo vivere nel giusto modo la celebrazione del Natale, quale conferma che ««Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14) e che il Signore è sempre fedele alla sua parola.
Chi attende veglia, progettae si tiene pronto mentre attraversa le vicende della storia spesso con pochi indizi e senza sapere chi verrà portato via e chi lasciato (cfr Mt 24,40-41). Chi attende vive di desiderio, si accorge anche dei piccoli segnali e prepara l’accoglienza.
Chi attende coltiva la tensione in avanti e si apre al futuro, senza rischiare di cadere in quello che, fin dai tempi di Noè, è il grande pericolo esistenziale di tutti e di ciascuno: vivere, giorno dopo giorno, assorbiti dalla quotidianità, senza grandi orizzonti, senza porsi domande, senza cercare di interpretare gli eventi.
Mangiare, bere, sposarsi (cfr Mt 24,38) sono certamente attività positive. Ma non siamo venuti al mondo solo per sopravvivere immersi nella ripetitività quotidiana, solo per soddisfare le necessità della vita fisica e per avere una pur importante vita affettiva, senza intravedere nessuna meta e direzione precisa.
Come i contemporanei di Noè, che «non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e li inghiottì tutti» (Mt 24,39), sembriamo incapaci di cogliere i segni che dimostrano che non siamo solo materialità, i segni che, in questa particolare fase storica, dicono che ci troviamo non in «un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca» (Papa Francesco, Firenze 10 novembre 2015).
L’appiattimento sul presente rappresenta un ostacolo alla comprensione di noi stessi e degli eventi e non aiuta la formazione di quella cultura che serve per affrontare questo nostro tempo, per ricostruire la fiducia collettiva, per guardare e costruire insieme un avvenire positivo.
Fossilizzarsi sul presente rende superficiali e schiavi dell’ego, produce miopia, ci fa porre domande piccole, sterilizzando così la possibilità di ogni grande risposta, e incattivisce, come dimostrano i facili slogan e la conflittualità che ci caratterizza.
È come se vivessimo da svegli un ‘sonno esistenziale’, in cui siamo incapaci di sognare, ma capaci di stravolgere i sogni di chi è stato capace di farli.
Nella prima lettura, ad esempio, il profeta Isaia vede un tempo di cui persone e popoli «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2,4). Noi, invece, siamo stati capaci di trasformare le falci in lance, strumenti di lavoro e vita in armi di offesa e di morte.
Per uscire dalle sabbie mobili in cui ci siamo impantanati e per ritrovare la capacità di proiettarsi in avanti, è necessario lasciarsi provocare dalle parole di Paolo ai Romani, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «consapevoli del momento» dobbiamo svegliarci «dal sonno» (Rom 13,11).
Se non siamo vigili e pronti, non saremo mai consapevoli del momento presente né in grado di interpretare la mutevolezza delle situazioni. E sarà anche difficile intercettare il ladro che arriva all’improvviso, per sottrarci quel che abbiamo di più prezioso, a partire dalla dignità e dalla speranza.
Vegliare e tenersi pronti significa riflettere su noi stessi ed essere disponibili al cambiamento, per non lasciare che il desiderio si addormenti, facendo prendere il sopravvento all’inerzia e all’abitudine: ad ogni età e in ogni circostanza, c’è sempre un’opportunità e un modo nuovo per amare.
Vegliare e tenersi pronti significa anche aprirci alla trascendenza e a uno stile di vita fraterno e solidale per costruire un mondo più giusto e umano.
L’Avvento ci ricorda che il tempo ha una direzione, un significato, e che possiamo attraversare l’imprevedibile e sostenere il peso delle tante cose che non sappiamo e che non possiamo dominare, perché abbiamo la certezza che tutto nella nostra vita si muove verso l’incontro con il Signore che viene.
Quando il Signore verrà, non è importante sapere cosa stiamo facendo, ma come saremo trovati, che persona abbiamo scelto di essere.
Il Signore ci conceda la grazia della vigilanza, per accogliere Gesù, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).