Schema Omelia 6 gennaio 2023

Epifania del Signore: Is 60,1-6   Sal 71   Ef 3,2-3.5-6   Mt 2,1-12

Il mistero del Natale ci dice che Dio è entrato nella storia, il Verbo si è fatto carne per incontrarci.  La sua Epifania, la sua manifestazione, avviene per attrazione.

L’attrazione, forza che non viene da fuori ma che nasce da dentro, è la strada che il Signore utilizza per entrare in relazione con ogni persona, per raggiungere tutti, ovunque.

La sua attrazione risveglia la nostalgia di amore e di infinito che ciascuno coltiva nel proprio cuore, anche se ognuno è attratto in un modo diverso, a seconda della propria sensibilità, di come sa vedere e ascoltare.

Potremmo dire che, come per i Magi di cui parla l’evangelista Matteo, nella vita di ogni persona c’è il mistero di una stella che si accende e che risplende nel cuore.

Per questi misteriosi personaggi, l’attrazione è così forte da indurli ad affrontare un lungo e incerto viaggio: dall’oriente si mettono in cammino alla ricerca di un re bambino.

La luce di Dio illumina anche quegli aspetti della vita che si trovano nell’oscurità del nostro intimo. Non spiega tutto, ma aiuta a camminare e indica il passo successivo. Seguendo la stella nulla rimane come prima.

Il cammino della vita non è mai facile. E neppure quello della fede. A volte la luce intravista scompare e può venire il dubbio di essersi sbagliati, di aver perso la strada. È il momento della prova e della fede.

Dio attrae, ma non tutti si lasciano attirare. L’evangelista Matteo ci dice che proprio i più vicini, quelli per cui il viaggio sarebbe più facile, non si lasciano attrarre: rimangono chiusi nel loro sapere senza che questo sapere susciti in loro alcun desiderio. Erode addirittura rimane «turbato e con lui tutta Gerusalemme» (Mt 2,3).

Come è accaduto ai Magi, per trovare il Signore che è nato per noi, occorre essere meno attaccati alle cose e alle nostre umane certezze e fare un cammino che cambia in profondità.

Ma, per arrivare alla meta, la stella non basta. C’è bisogno della Scrittura, anche se ci raggiunge attraverso persone che, pur conoscendola, non si lasciano coinvolgere da quello che annunciano.

Mossi dalla parola di Dio, i Magi vedono nuovamente la stella (cfr Mt 2,9) che avevano perso di vista e riprendono il cammino.

L’evangelista Matteo sottolinea che i Magi, quando giunsero a Betlemme, «videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). Adorare il Signore è la meta del loro cammino e del cammino di tutti.

Adorare non è facile, non è un fatto immediato. Non basta stare davanti a Gesù ore ed ore. Adorare è un’esperienza interiore, punto d’arrivo e, insieme, di partenza di un profondo cammino, a volte lungo, che richiede una certa maturità umana e spirituale.

Un cammino che può iniziare solo alzando gli occhi, per vedere i segni che il Signore mette sulla nostra strada e per non fare delle difficoltà il centro della nostra esistenza e della nostra religiosità.

Alzare lo sguardo ci fa vedere in modo nuovo le cose, sapendo che il Signore conosce la nostra condizione e ascolta le nostre invocazioni.

Come hanno fatto i Magi, visti i segni, occorre mettersi in viaggio, ossia essere disponibili al cambiamento, allargando le conoscenze e vivendo relazioni nuove.

Per adorare il Signore, poi, bisogna saper vedere oltre il velo del visibile, spesso ingannevole. L’Evangelista scrive: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11).

Questi sapienti, venuti da paesi lontani per adorare un re bambino, si trovano davanti una scena umile, ma riescono a vedere al di là dell’apparenza.

Il fatto stesso di adorare cambia. Dopo aver adorato si riprende il cammino in modo nuovo: «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12). Se adorare non ci rende nuovi e non ci fa vedere le cose in modo nuovo, significa che non abbiamo ancora fatto il cammino che ci rende adoratori.

Il mistero di luce e di amore del Natale, ci conduca «a vedere e ad amare gli avvenimenti, il mondo e tutto ciò che ci circonda, con gli occhi stessi di Dio» (Benedetto XVI, Udienza generale del 22 dicembre 2010). Solo così potremo essere veri adoratori.

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