Schema Omelia domenica 22 gennaio 2023

Terza domenica Per Annum A: Is 8,23-9,3   Sal 26   1Cor 1,10-13.17   Mt 4,12-23

Dopo l’arresto del Battista, Gesù inizia la sua missione trasferendosi da Nazaret a Cafarnao, e, come già aveva fatto Giovanni (cfr. Mt 3,2), predica la necessità della conversione, «perché il regno dei cieli è vicino» (cfr. Mt 4,17).

All’invito alla conversione, Matteo fa seguire la chiamata dei primi discepoli (cfr. Mt 4,19.21) e poi sintetizza in tre verbi l’attività itinerante di Gesù: insegna, annuncia, guarisce (Mt 4,23).

Tutto questo, viene introdotto dall’evangelista con una citazione del profeta Isaia, quasi a giustificare perché Gesù non inizia la sua missione a Gerusalemme, ma in una terra abitata da pagani e da israeliti considerati semi-pagani.

La Galilea non è solo uno spazio geografico, una terra, una regione. È una zona di frontiera, dove sono passati eserciti in guerra e migrazioni di popoli; dove sono avvenuti conflitti profondi e cruenti tra culture diverse; dove si sono prodotte mescolanze inedite tra etnie differenti e distanti.

I giudei di Gerusalemme disprezzavano gli israeliti di Galilea perché li ritenevano ignoranti della legge, corrotti nei costumi e poco osservanti delle disposizioni rabbiniche.

Parafrasando papa Francesco, potremmo dire che Gesù non solo parte, ma pone la sua residenza in quella che da Gerusalemme, centro del culto, veniva vista come periferia religiosa ed esistenziale.

Gesù, a differenza del Battista, non sta ad aspettare che la gente vada da lui, ma la sua missione è itinerante: è lui che si muove incontro alle persone andando «per tutta la Galilea» (Mt 4,23).

«Convertitevi» è la prima parola che Gesù pronuncia all’inizio della sua missione, perché tutti abbiamo costantemente bisogno di conversione.

La conversione a cui chiama Gesù non equivale a migliorare un poco, a pregare meglio, a fare qualche opera buona in più, ma richiede prima di tutto un cambiamento radicale del modo di pensare e di entrare in relazione con lui e con gli altri.

Se continuiamo a ragionare mettendo al centro noi stessi, convinti che l’unico modo giusto di guardare le cose sia il nostro, non arriveremo mai ad accogliere l’altro nella nostra vita, neppure quando questo Altro è Dio.

Per convertirsi non basta pentirsi dei propri peccati: è necessario rivolgere il nostro volto verso Dio e porsi in ascolto della sua parola.

Questo vale per i pagani, che confidavano sulla loro economia (Cfr. Mc 5,1-20), e per gli Ebrei, che confidavano sulla legge (Cfr. Rm 3,9; Ef 2,1-5). Per entrambi, come per noi oggi, convertirsi significa abbandonare la mentalità abituale e cambiare fondamento e direzione.

Una vera conversione non si basa sulle nostre capacità e i nostri sforzi, ma su Gesù, neppure quelli di carattere religioso, ma su Gesù, coltivando la fecondità della relazione con lui.

La conversione, come la fede cristiana, non consiste nell’accogliere una dottrina e nel fare delle pratiche particolari, ma in un continuo andare oltre. Convertirsi richiede di mettersi alla sequela di Gesù, rispondendo alla sua chiamata, per nutrire cuore e mente di lui e della sua parola.

In questo senso, è significativo che, dopo l’invito alla conversione, la prima azione di Gesù sia una chiamata a seguirlo.

«E subito, lasciate le reti, lo seguirono» (Mt 4,20). Sicuramente per la potenza della parola di Gesù, per il suo fascino attrattivo e coinvolgente.

Per non focalizzare tutto su noi stessi e trasformare la nostra vita, dobbiamo stare dietro a Gesù, ascoltando e facendoci istruire dalla sua parola.

Il percorso da fare è chiaro anche se difficile: lasciare idee e abitudini, per convertirci alla novità di un amore sempre diverso e creativo; lasciare modi di fare e compagnie quando sono un ostacolo o non aiutano a seguire Gesù, come quelle appartenenze tutte umane di cui parla Paolo ai Corinzi nella lettera ai i gruppi: «ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo!”» (1Cor 1,12). Occorre anche lasciare le nostre ragioni e l’indipendenza delle nostre solitudini, per cercare e camminare insieme agli altri e per sentirci popolo.

Solo se Gesù Cristo e la sua parola diventano centro, orientamento e meta della nostra esistenza, possiamo trovare il coraggio di cominciare a vivere una vita nuova, ma soprattutto una vita piena.

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