Omelia Badia Fiorentina 26 gennaio 2023

Santi Timoteo e Tito: 2Tm 1,1-8   Sal 95   Lc 10,1-9

Tutti coloro che credono in Gesù e si mettono alla sua sequela hanno in comune la stessa chiamata: condividere la loro esperienza di fede e prendersi cura delle persone che incontrano nella loro vita.

Vivere la missione non è un optional, ma realtà intrinseca all’essere discepoli. Per seguire Cristo è necessario uscire da sé stessi e l’uscire da sé stessi è anche la condizione per incontrare l’altro – Dio e l’uomo – e per annunciare il Vangelo.

Gesù Cristo che abbiamo accolto nella fede e il suo messaggio che annunciamo non possono essere contraddetti e smentiti dalle nostre scelte e dal nostro atteggiamento. Per questo Gesù fornisce indicazioni molto chiare, per quando ci si prende cura degli altri e si annuncia il Vangelo: «Vi mando come agnelli in mezzo a lupi» (Lc 10,3).

L’opposizione delle persone e delle società sarà dura, vedendo minacciata la visione tutta umana della vita e della storia dall’annuncio che «È vicino a voi il regno di Dio» (Lc 10,9),

Di fronte a questa opposizione, Gesù non dice siate come lupi in mezzo ai lupi, altrimenti scateneremo guerre. E non dice neppure siate come cacciatori, perché da annunciatori ci trasformeremo in conquistatori.

Gesù chiede di andare come agnelli, con un atteggiamento che disarma e con il rischio del fallimento, ma non da sprovveduti.

Non si deve neppure fare gli eroi solitari: «li inviò a due a due» (Lc 10,1).   Va testimoniata la comunione, frutto dell’accoglienza di Cristo e del suo vangelo, e va trovata la forza nell’essere e sentirsi comunità.

Si deve andare facendo affidamento in colui che ci invia e non su quello che abbiamo: «non portate borsa, né sacca, né sandali» (Lc 10,4).

L’annuncio, che inizia sempre portando la pace (Cfr. Lc 10,5), deve arrivare con urgenza, per il bene delle persone a cui è diretto. Non ci debbono essere indugi: «non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada» (Lc 10,4).

Questo non significa rinunciare a coltivare le relazioni, che sono motivo e frutto costitutivo dell’annuncio, ma che non si può sostare oltre misura quando in gioco c’è il bene delle persone. E il saluto, in oriente, era praticamente interminabile.

E si deve andare da tutti senza scrupoli e tabù religiosi, perché nessuna persona e nessun cibo è impuro: «mangiate quello che vi sarà offerto» (Lc 10,8). Solo chi è libero può, con coraggio, essere portatore di libertà.

Il primo e fondamentale motivo del coraggio va trovato nella propria fede, dentro di noi: «Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza» (2Tm 1,7).

Come Timoteo è invitato da Paolo a «ravvivare il dono di Dio» (2Tm 1,6) da lui ricevuto nell’ordinazione mediante l’imposizione delle mani dello stesso Paolo, ciascuno di noi è chiamato a tenere viva la grazia ricevuta nel battesimo.

La grazia, infatti, non ha effetti magici, non opera automaticamente e indipendentemente dalla libera adesione personale, tanto che, come dice Paolo, per non farla spegnere va ravvivata come si fa con il fuoco.

L’immagine che deriva dal linguaggio usato da Paolo, alla lettera «rattizzare il carisma di Dio» (2Tm 1,6), rimanda proprio all’azione di chi, per mantenerlo ardente, soffia nel fuoco e toglie la cenere che minaccia di soffocarlo e di spegnerlo.

Nelle poche righe che abbiamo ascoltato come prima lettura, si intrecciano i vincoli d’affetto che legano Paolo e Timoteo e gli elementi essenziali della fede e dell’annuncio evangelico, sintetizzati magistralmente: Dio ha mandato Gesù per salvarci e ci ha donato lo Spirito che ci aiuta a compiere il progetto che lui ha su ognuno di noi.

Sono due le vie che hanno condotto Timoteo al dono della sua «schietta fede» (2Tm 1,5): l’incontro decisivo con l’Apostolo e la fede che ha ricevuto negli affetti familiari, particolarmente dalla nonna Loide e dalla madre Eunice (cfr 2Tm 1,5).

Timoteo, il circonciso, guidò la Chiesa di Efeso, e Tito, l’incirconciso, che guidò la Chiesa di Creta, sono stretti collaboratore di Paolo e, simbolicamente, rappresentano l’universalità del Vangelo: gli uomini della legge e gli uomini dalle genti.

Il brano del vangelo, la provenienza e la vita di questi due stretti collaboratori di Paolo, di cui oggi facciamo memoria, ci ricordano che l’annuncio della Buona Notizia, che è Gesù stesso, non ha limiti né confini, né geografici né esistenziali.

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