Quarta domenica Per Annum A: Sof 2,3; 3,12-13 Sal 145 1Cor 1,26-31 Mt 5,1-12
La pagina del Vangelo di Matteo che la liturgia di oggi ci propone è sempre viva, efficace, penetrante. In ogni tempo mantiene tutta la sua forza: parla al cuore di ogni persona, perché risponde al bisogno di felicità che tutti portiamo dentro.
Per capire lo spirito e la ragione profonda di questo primo ed eccezionale discorso di Gesù, bisogna lasciare quella perplessità e quello scetticismo che possono nascere di fronte a promesse e impegni che ci sembrano impossibili. Ed è necessario partire dalla parola che risuona all’inizio di ogni frase, «beati», e metterci alla scuola di Gesù per convertirsi (Cfr. Mt 4,17), per cambiare prospettiva e modo di pensare.
Per aiutarci a cambiare prospettiva, l’apostolo Paolo ci esorta a considerare il senso e il valore della nostra chiamata (Cfr. 1Cor 1,26). E il profeta Sofonia aggiunge: «Cercate il Signore voi tutti poveri della terra» (2,3): non per trovare ricchezza, ma pienezza, felicità.
Queste due esortazioni ci aiutano a creare l’atteggiamento giusto per ascoltare ed entrare in sintonia con le parole pronunciate da Gesù sul monte, «vedendo le folle» (Mt 5,1), composte da persone con ferite, povertà sofferenze e attese.
Per evitare ogni fraintendimento, Gesù cambia persino la parola che veniva tradizionalmente usata per parlare di felicità, eudaimonia, che richiama la predisposizione a mettere in atto comportamenti che progressivamente dovrebbero portare verso la realizzazione di sé stessi. Come dire: la felicità dipende da noi, dobbiamo conquistarla con comportamenti adeguati.
Gesù parla della felicità usando un aggettivo, macharios, perché la felicità è un dono, non una conquista. La felicità è opera di Dio, non dell’uomo: è Dio che ci rende felici, anzi è la nostra felicità.
Quelle di cui parla Gesù nel suo discorso non sono situazioni che dobbiamo sforzarci di creare, ma sono eventi ricorrenti della nostra vita. Situazioni oggettivamente difficili, molte delle quali non ci rendono felici, ma che possono predisporci ad accogliere il dono della felicità.
Devo confessare che ogni volta che mi trovo davanti al discorso delle beatitudini provo disagio a doverlo commentare, perché temo di rovinarlo.
Per questo, normalmente, evito di soffermarmi sulle singole beatitudini, anche se appare abbastanza chiaro che il discorso di Gesù denuncia l’ambiguità di una rappresentazione tutta terrena della felicità e che la radice di ogni vera beatitudine sta nella relazione con Dio, nell’appartenere a lui.
Nella sostanza, Gesù ci dice che nella vita possiamo essere felici se sappiamo accogliere Dio, uscendo da noi stessi e senza ripiegarci sui nostri bisogni, in quelle situazioni e in quei momenti che possono essere faticosi e difficili.
La felicità non può mai essere una questione solitaria, eccco perché l’ottica di fondo delle beatitudini è sempre relazionale.
Come narrano i vangeli, Gesù di Nazaret ha vissuto le stesse nostre emozioni umane: ha provato angoscia e paura, tristezza e amarezza, ira e sdegno; ha saputo esultare e gioire, ha conosciuto la convivialità della tavola e dell’amicizia.
Il messaggio delle beatitudini tocca la condizione umana, proprio quella che il Verbo di Dio, incarnandosi, ha voluto assumere, per salvarla. Per questo, «il Discorso della montagna è diretto a tutto il mondo, nel presente e nel futuro, e può essere compreso e vissuto solo nella sequela di Gesù, nel camminare con Lui» (cf J. Ratzinger, Gesù di Nazaret, 92).
Con questo suo discorso, Gesù si rivolge direttamente ciascuno di noi. Come se ci dicesse: sei disposto a vivere le situazioni anche drammatiche della tua vita con povertà di spirito, con mitezza, con purezza di cuore, facendo spazio a Dio che solo può donare la felicità?
Questo primo grande discorso di Gesù ci costringe anche a riflettere e decidere se continuare il cammino con lui, consapevoli che, come scrive Paolo: «quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (cf 1Cor 1,27-28).
Le beatitudini sono la forma di vita di Gesù e la via della vera felicità, che anche noi possiamo accogliere e percorrere con la grazia che Gesù stesso ci dona.