Prima domenica di Quaresima anno A: Gen 2,7-9; 3,1-7 Sal 50 Rm 5,12-19 Mt 4,1-11
Marco, Matteo e Luca, in modo concorde narrano l’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto dopo l’esperienza del battesimo. Gesù esce dal Giordano e su di lui scende lo Spirito Santo. Ed è proprio lo Spirito a condurlo nel deserto «per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1).
Il deserto rappresenta l’ambito di vita nel quale sperimentiamo la prova e il modo con cui l’affrontiamo dice molto di noi, rivela chi siamo e quanto siamo consapevoli della nostra identità.
La tentazione si innesta proprio nella fatica che dobbiamo fare davanti alle situazioni che la vita ci pone davanti, ogni volta che ci troviamo nel deserto della prova: è conseguenza della nostra libertà. Vivere, infatti, significa prendere decisioni
L’identità di Gesù, come è stato rivelato dalla voce del Padre dopo il suo battesimo al Giordano (Cfr. Mt 3,17), è quella di Figlio amato, nel quale il Padre ha posto il suo amore (Mt 3,17).
Non è un caso, perciò, che il tentatore inizi proprio con questa espressione: «Se sei figlio di Dio…» (Mt 4, 3.6).
Essere tentato, nel pensiero comune, significa sentirsi attratto da quello che è ritenuto proibito dalla religione, dal costume e della mentalità corrente.
La Bibbia, invece, considera la tentazione come un momento di verifica della solidità della propria identità, delle proprie scelte; come un’occasione di maturazione e di crescita.
La tentazione, ovviamente, può farci commettere errori, ma è un rischio inevitabile se si vuol diventare “esperti, “periti”, termini che dicono l’essere sottoposto a prova, ossia tentato.
La tentazione ci raggiunge sempre nelle nostre relazioni, quelle con noi stessi, quelle con Dio, con gli altri e con le cose. Ci pone di fronte la scelta di accogliere o rifiutare quello che siamo; la scelta di accogliere o rifiutare una meta da perseguire, un determinato percorso, una particolare collaborazione.
Il demonio tenta Gesù – come tenta ciascuno di noi – nella sua relazione con il Padre, perché è da questa relazione che dipende il modo di stare nel mondo e la pienezza della comunione col Padre.
Nella prova, dunque, si vede se e quanto abbiamo la consapevolezza di quello che siamo; la consapevolezza di essere figli e se si vive da figli.
Sostanzialmente, il diavolo cerca di insinuare nella nostra mente l’idea che ci possano esistere modi alternativi di essere figli e che possiamo scegliere la nostra modalità preferita, indipendentemente dalla parola del Padre.
Lo stile di Dio, però, presuppone precise modalità per vivere la propria figliolanza e la missione affidata. Occorre pertanto stare attenti a non lasciarsi fuorviare dai modi alternativi suggeriti dal diavolo, che per sua natura tende a dividere la creatura dal creatore e anche da sé stessa e dagli altri.
Pur nella diversità delle situazioni, il modo alternativo proposto dal diavolo a Gesù presuppone sempre una stessa cosa: non è il Figlio che deve ascoltare il Padre, ma dovrebbe essere il Padre a rispondere ai desideri del Figlio.
La prima tentazione, ad esempio, tende a portare Gesù a piegare le cose al suo servizio e, quindi, anche il Padre: «dì che questi sassi diventino pane» (Mt 4,3). Per Gesù ciò che nutre davvero la vita di figlio è ogni Parola che esce dalla bocca del Padre, perciò rifiuta ogni via alternativa.
La seconda tentazione, pur diversa, presenta la stessa dinamica: costringere il Padre a salvarlo, con un atteggiamento provocatorio e dimostrativo, tutt’altro che filiale (Mt 4,5-7).
Stessa cosa per la terza tentazione: decidere quale Dio adorare, anche se non si può che avere un solo Padre (Mt 4,8-10).
Lo scopo del diavolo, fin dall’inizio della storia sacra, è quello di insinuare nel cuore e nella mente l’idea di un dio diverso da quello che si è rivelato come Creatore e Padre.
Accettare l’idea di dio proposta dal diavolo comunque presuppone la fede: Adamo ed Eva, ad esempio, gli hanno creduto e si sono persi, come racconta la prima lettura.
L’evangelista annota che Satana viene cacciato da Gesù, opponendogli la parola di Dio: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”» (Mt 4,10).
Il frutto della fedeltà al Padre e alla sua parola, si rende subito evidente: «Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (Mt 4,11).
Non tutta la nostra religiosità è coerente col nostro essere Figli di Dio. Per questo, proponendo questo brano all’inizio della Quaresima, la liturgia ci stimola a rivisitare le fondamenta della nostra fede, la nostra identità e le modalità con cui viviamo il nostro essere figli nel Figlio Gesù, per poter camminare fruttuosamente verso la Pasqua di risurrezione.