Schema Omelia domenica 19 marzo 2023

Quarta domenica di Quaresima Anno A: 1Sam 16,1.4.6-7.10-13   Sal 22   Ef 5,8-14   Gv 9,1-41

In questo lungo brano, l’evangelista descrive il fatto centrale in modo semplice, con pochi abili tratti: «Gesù sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse “Va a lavarti nella piscina dei Siloe”; quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva» (Gv 9,6-7).

Seguono, però, una complessità di dialoghi tra dubbi, ironia, ostinazione, slanci di entusiasmo e il coinvolgimento progressivo di un numero sempre maggiore di persone che tentano di comprendere e interpretare quello che è successo.

La guarigione del cieco dovrebbe portare gioia e stupore, invece, porta confusione e disorientamento, dà inizio a un processo interpretativo che richiede impegno, discussione, pazienza, confronto, memoria e responsabilità.

Questo ci dice una cosa ben precisa: cieco è chi pensa che la realtà abbia un solo colore, sia senza sfumature, e che le soluzioni ai problemi che la vita ci pone siano sempre chiare; chi pensa che all’evidenza dei fatti corrisponda una comprensione immediata, l’ovvietà nel giudicarli, la chiarezza nel compiere scelte.

Il brano si apre e si chiude con un riferimento al peccato. Alla domanda dei discepoli, che chiedono se quell’uomo sia nato cieco per il proprio peccato o per quello dei suoi genitori, Gesù prende le distanze da questa mentalità diffusa, affermando che la cecità non è la punizione per il peccato, né dell’uomo, né dei suoi genitori (Gv 9,2-3).

Alla fine del brano il discorso sul peccato viene addirittura ribaltato: il legame non è più tra il peccato e la cecità, ma tra il peccato e il pretendere di vedere, come chiaramente dice Gesù ai farisei: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane» (Gv 9,41).

Tutto il racconto, infatti, gira intorno ad un ostinato indurimento di cuore degli scribi, dei farisei e dei capi del popolo, che hanno occhi e non vedono.

Di fronte a loro c’è un’evidenza, ribadita in diversi modi da vari testimoni: un uomo nato cieco ha riacquistato la vista. Ma loro si rifiutano di vedere. Interrogano a più riprese l’uomo guarito e interrogano i suoi genitori: non per accertare il fatto, ma per trovare il modo di negarlo.

Una volta accertato che l’uomo era davvero cieco, con la scusa che è stato guarito di sabato, le autorità religiose non vogliono riconoscere l’opera di Gesù, continuando ad interpretare le cose secondo un’idea, una loro visione, e non tenendo conto della realtà.

Questo racconto, come l’intero vangelo di Giovanni, tende a mettere a fuoco l’identità di Gesù e la reazione di fronte a lui.

Fin dall’inizio Gesù afferma: «Io sono la luce del mondo» (Gv 9,5). Ma per credere è necessario non fossilizzarsi nelle proprie convinzioni, mettersi in relazione con lui e ascoltare la sua parola.

È l’incontro con Gesù che apre gli occhi della fede. Anche l’ex cieco arriva a credere solo nel momento in cui il Signore gli rivolge la Parola: «Gesù … gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui» (Gv 9,35-38).

I capi del popolo, invece, parlano con tutti, tranne con Gesù. Parlano sempre di lui, ma non parlano mai direttamente con lui. E il processo che muovono per interposta persona, si ritorcerà contro di loro, perché Gesù giudicherà severamente il loro atteggiamento.

Chi ascolta solo sé stesso, chiuso nelle proprie convinzioni, a un certo punto smette di vedere la realtà e rifiuta perfino l’evidenza. Si ferma alla superficialità delle cose. Forse per paura di portarne il peso, forse perché spera che prima o poi la realtà cambi da sola.

La fede è anche uno sguardo che nasce dall’ascolto. Uno sguardo nuovo gettato sulla realtà che ci circonda e, innanzitutto, su noi stessi. Siamo tutti dei ciechi: nessuno può raggiungere da solo la luce della fede.

Come appare evidente in tutto il brano del vangelo di oggi, se all’inizio c’è l’intervento di Dio, che ci raggiunge attraverso Gesù, è altrettanto vero che poi c’è un itinerario da compiere e non è mai privo di difficoltà.

La fede ha sempre un prezzo: smettere di essere il centro di tutto. Smettere di ritenersi padroni della vita propria e di quella degli altri: solo così potremo accogliere l’opera di un Altro, che è sempre un’opera che illumina, libera e salva.

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